Una giornata in campagna. Un albero di foglie d'argento che brilla nel vento. Gente che chiacchiera, parole già udite, frasi monotone. L'umana pretesa di sentenziare, di inquadrare la realtà, e anche di farsi una ragione. Bisogna pur riempire il silenzio, dare un senso soggettivo alle cose e, soprattutto, tornare a casa appagati, con l'arrogante sensazione di essere i detentori di una verità che adesso gode anche del consenso degli altri. Il riconoscimento, nient'altro che questo, desideriamo dal prossimo.
I bambini hanno corso per ore, sudati a causa del sole, raffreddati dall'aria ancora fresca, graffiati sulle braccia, sulle ginocchia, sulle guance, dopo essere caduti in terra decine di volte. Hanno attraversato un mondo fatto di prato e scoperto insetti nuovi, toccato piante mai viste prima e osservato nuvole capaci di viaggiare il cielo da una parte all'altra senza mutare mai di forma, intatte dall'inizio alla fine del loro percorso.
Quello che ho visto bene è un albero di foglie d'argento che brillano nel vento, grazie soltanto alla loro recente giovinezza. Tutto il resto assomiglia al deserto, anche le foglie che sono in terra sono roba di ieri, che fa parte del passato e che appartiene, allo stesso tempo, al futuro che sarà.
Queste poche righe tanto per rifarmi vivo, in un luogo dal quale avevo deciso di sparire. Mi sono confrontato con un monotonia di argomenti che pensavo avesse fatto il suo tempo.
Soprattutto, alcune verità taciute hanno assunto spesso le fattezze di ignobili bugie il cui peso si è fatto sempre più insostenibile. A poco è valso, quando li ho tracciati, delineare contorni vaghi, e parlare a grandi linee, generalizzare, riferirmi a una terza e immaginaria persona, invece che a me stesso soltanto.
Bentornato.
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