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Visualizzazione dei post da aprile, 2011

Prove di dialogo

Due figli: uno che fra poco compirà quattro anni e l'altro di quasi quattro mesi. Come parlano i bambini a queste diverse età? E come dialogano fra loro? E' divertente osservarli mentre provano a comunicare verbalmente. Il più grande è ormai capace di sorprendere anche gli adulti con l'ampio uso di congiuntivi di cui si serve nei suoi discorsi, pratica evidentemente non troppo diffusa fra le persone che ci girano intorno e che lo ascoltano parlare. Uno degli ultimi commenti da parte di un suo interlocutore è stato: "Dodokko usa un linguaggio troppo forbito, da adulto". Addirittura! E dire che fino a pochi mesi fa, periodicamente, mio figlio aveva presentato dei problemi di 'disfluenza', un fenomeno transitorio, normale e diffuso nei bambini attorno ai tre anni, simile alla balbuzie e dovuto a una sorta di ingolfamento dei pensieri nel momento in cui dovrebbero prendere voce. In pratica, sembra che il cervello, a questa età, sia capace di comporre pensieri

La freccia e l'arciere

La posa era quella plastica di un arciere greco raffigurato su un qualche vaso di terracotta del V secolo avanti Cristo: così ho trovato il mio figlio più piccolo ieri, al mio ritorno a casa. Addormentato nella sua culla, il corpo disteso sul fianco sinistro, la testa inclinata all'indietro, il braccio su cui poggiava il busto tutto teso in avanti, impegnato a impugnare un ipotetico arco, l'altro invece piegato all'altezza del collo, a tendere la corda su cui ballava una freccia. Un arco e una freccia immaginari e poi, solamente dopo, lui... Dov'era dunque l'arciere nel momento in cui il sonno lo aveva catturato? Dove lo avevano condotto i suoi sogni? Non era fatto di tenebra il suo dormire, perché un bel sorriso evidenziava una felicità soddisfatta, come se stesse seguendo con gli occhi una concatenazione di avvenimenti nota, priva eventualmente di cattive sorprese.  Mio figlio non era l'arciere che dormiva beato, ma era la stessa freccia da lui appena scagliat

Così fiorisce un sorriso

I neonati apprendono da noi il sorriso, osservandoci mentre a nostra volta sorridiamo, oppure il loro è un modo innato di comunicare il proprio benessere? Me lo sono chiesto per la prima volta qualche tempo fa, guardando il mio secondogenito di pochi mesi che stirava le labbra mentre gli cambiavo il pannolino. Adesso invece sorride sempre, appena si sveglia, al mattino, invece di piangere per la fame, di colpo come faceva prima. E' così rilassato dopo il sonno che riusciamo a prenderci anche una mezz'oretta per giocare insieme prima della poppata. E tra uno scherzo e un verso che ci facciamo, ci scappa sempre un sorriso o addirittura una bella risata.  E quindi, in questi giorni in cui stiamo bene, sono tornato a farmi la domanda se i bambini il sorriso lo imparino da noi oppure se faccia parte del bagaglio col quale vengono al mondo. Non ho ancora una risposta al quesito e so che la cosa importante è la felicità che manifestano, più del modo e del perché la esprimono. Eppure,

I morti ci guardano: sono stelle i loro occhi

"I morti ci guardano: sono stelle i loro occhi". Mi disse proprio questa frase, molto tempo fa, una mia nipotina che allora aveva appena tre anni. Lo fece mentre osservavamo dal giardino di casa sua un cielo scuro, punteggiato da una miriade di astri bianchi. Era proprio così quel cielo: nero e chiazzato, non illuminato da quelle stelle che non disperdevano sprecandola la loro luce nell'universo, ma che invece ne proiettavano i raggi dritti, come un dono di luce, esclusivamente verso gli occhi di chi le guardava. Era estate, una calda sera del sud, ma le parole della bambina mi gelarono il sangue. Che poteva saperne lei, alla sua età, della morte? Chi mai le aveva fatto il racconto che mi aveva appena riferito? Sono passati almeno quindici anni da allora e da quando a Dodokko leggo le favole ho sempre sorvolato sul sostantivo "morte". Ultimamente però non censurò più e se nel libro c'è scritto che "la strega cadde dalla rupe e morì", gli dico tutta

Linea di confine

Ho preso la rincorsa, ho chiuso gli occhi, ho sollevato le gambe ed è iniziato il volo. L'aria e la polvere sulla faccia, l'accelerazione del battito, la contrazione dei polpacci, le scapole slogate, sono caduto in piedi, oltre il fossato. La mia infanzia è sparita così, in un attimo, dall'oggi al domani, tanto tempo fa, quando ero ancora un adolescente. C'è stato quell'ostacolo improvviso, non previsto, per superare il quale occorreva la forza di un uomo, non quella ridicola di un bambino, e l'ho fatto, senza pensarci tanto: ho cominciato a correre e da allora non mi sono più fermato. E sono stato talmente indaffarato nella corsa, in tutto questo tempo, che ho tardato ad accorgermi di un sole ormai sparito dalla mia vista: un tramonto niente affatto da cartolina e di cui non sono stato spettatore.   Ventitré anni dopo esserlo diventato, soltanto oggi so di essere un uomo: ho oltrepassato la linea di confine e da questa nuova, già vecchia frontiera mi giro a gua