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Erano i capei d'oro a l'aura sparsi...

 'Erano i capei d'oro a l'aura sparsi...': basta soltanto questo primo verso del sonetto di Petrarca ed è sufficiente l'imperfetto del verbo essere per proiettarci in un tempo distante, ormai lontano, celeste soltanto nella memoria e oggi più che mai caduco, come qualsiasi cosa terrena, sia essa perfino la donna amata. Basta questo tempo remoto e imprecisato a staccare il ricordo di 'uno spirito angelico' dalla realtà di oggi, dove la vecchiaia ha il sopravvento e all'amore... non resta che essere terreno. Mio figlio domani ha una verifica di letteratura a scuola e mi ha voluto ripetere ciò che aveva studiato dell'autore de Canzoniere. Il componimento numero 90 da lui citato ha suscitato in me vaghi e lontani ricordi e molte suggestioni, che ben presto hanno abbandonato il poeta del dubbio per riferirsi esclusivamente a lui. E così, com'è già capitato in altre occasioni, di punto in bianco me lo sono ritrovato ancora una volta già grande, più di

Il mio orologio dovrà ricordarmi anche questo

 Furono anni e anni, di tempo perso, e di giorni e di ore ormai andate. Per questa ragione, al termine di un periodo tanto lungo, decisi di regalarmi un orologio. Quello che porto al polso lo scelsi con la carica manuale e la marca la decisi per fare un omaggio a Philip Roth, che ne parlò bene, e poi non costava tanto. Avevo deciso che il gesto di caricarlo avrebbe avuto lo scopo di ricordarmi ogni mattina che non avrei dovuto più sprecare il mio tempo. Il tempo con cui caricavo il mio orologio, mi sarebbe stato restituito, giro dopo giro delle lancette, avvitamento dopo avvitamento della corona, sotto forma di promemoria... o perfino di monito. Con quel gesto di caricarlo, cercavo, nei limiti del possibile, di diventare padrone del mio tempo, di decidere io stesso dove voler essere in ogni determinato momento della mia vita. Quest'anno per il mio compleanno, molti anni dopo essere nato, molto tempo dopo altrettante vite, c'è poco di nuovo da potersi regalare, si finisce per ri

Ti ho mai parlato di Paffi?

  Chi era questa Paffi e perché mi torna in mente, dopo quasi quarant'anni, una ragazza della quale ricordo soltanto il soprannome? Era una studentessa di un'altra sezione delle medie, che nei corridoi della scuola incrociai poche volte e che, se la dovessi rincontrare oggi, neanche riconoscerei. Facemmo il viaggio scolastico di terza insieme, la sua classe con la mia, e io capitai nel suo stesso scompartimento del treno. Inutile dire quanto mi piacesse, superfluo e poco credibile, per chi ha dimenticato certi batticuore, affermare che mi innamorai di lei non appena i nostri sguardi si incrociarono. Ma gli adolescenti si innamorano a prima vista, sarà capitato a ognuno di noi e non una volta soltanto. Non ne ricordo il nome, come ho detto, perché la conoscevo come Paffi, ma il viso ce l'ho ancora bene in mente: tondo, gli occhi grandi color nocciola, la carnagione chiara, i capelli neri, lunghi e lisci. Indossava una felpa fucsia, leggera, sopra ai jeans aderenti, blu scuro

Il buco

  Mi hai detto che osservi il futuro oltre un buco, dalla tua posizione presente, al di qua di esso. E mi hai raccontato la tua bella visione, la tua immaginazione, che non può che farmi piacere.  Il bello di adesso, anche domani... non vorrei altro. Hai ribadito che per te il passato non ha importanza e che non per niente ha il nome di "passato", perché quel tempo è trascorso, è andato via, quindi non è più importante, non deve influenzarci troppo. Non ce la faccio a pensare al passato nei tuoi stessi termini: per me, perfino gli occhi, che sono frontali e che quindi guardano inevitabilmente davanti a sé, sono lo sguardo di chi ha già vissuto. E proiettano noi stessi oltre quel buco, non un'altra cosa: noi, siamo sempre e soltanto noi. Perché ciò che scorgono, i nostri occhi lo interpretano sulla base di quel che già sanno, mentre ciò che non vedono lo possono immaginare partendo dalla propria fantasia. Il che non vuol dire necessariamente essere astratti, dato che anche

L'albero delle fate

Se ne sta in mezzo al bosco, senza fare nulla, e questo è il suo unico merito, non ne ha altri.  Il pino bianco è alto 35 metri e largo 6, ed è soltanto per questo che è guardato come un miracolo vivente. Solamente perché è un'eccezione: gli altri alberi vicini e nati dopo sono infatti molto più piccoli di lui, che invece è semplicemente un miracolato, uno che quando gli stessi, che ora lo ammirano, hanno tagliato il bosco, se ne stava in disparte.  Uno che, senza cercare di fuggire, sfuggì all'attenzione di chi aveva distrutto tutto.  Gente distratta allora non meno di quanto è distratta oggi. È paradossale infatti stupirsi per ciò che è spontaneo e naturalmente bello, quasi pensassero che la bellezza possa dipendere esclusivamente dalla nostra opera. E invece, più spesso, la bellezza è ciò che si lascia al suo posto, crescere come vuole, nessuna interferenza e cambiamento imposto. Esattamente come una promessa rispettata, senza nemmeno essere mai stata pronunciata. Perché par

S., R. e il cane

Chi sono S. ed R.? Sono l'autore e la destinataria di quella che vorrebbe essere una promessa d'amore, fatta qualche giorno prima del loro matrimonio, ma che in realtà non è altro che una richiesta di comprensione di fronte ad alcune eventualità già capitate nel corso di un certo numero di anni di fidanzamento. Chi scrive sta mettendo le mani avanti, dicendo che potrebbe succedere di tutto, che "potrei fare chissà cosa, ma tu, da ora in poi, non dubitare di me, credimi e amami lo stesso". Chi scrive chiede fin da subito che lei in futuro accetti ogni sua giustificazione. E questo perdono al buio, prestabilito, la comprensione nonostante tutto, già programmata e pattuita, è per me un fatto inaccettabile.  Amore per sempre, amore malgrado e di fronte a tutto, è per me un ossimoro, almeno quanto l'amore teorizzato, quello soltanto detto, e che poi nella pratica, nel tempo, non ha riscontro con la realtà, nei gesti quotidiani. Per me l'amore si compone di fatti, n

Campane di vetro, bicchieri di cristallo

I bicchieri sono sul tavolo. A distanza di giorni, voglio  immaginarli ancora così, per ragioni sceniche, uno ancora in piedi e mezzo pieno, quasi nessuno abbia avuto il tempo di svuotarlo, l'altro a pochi centimetri di distanza, sdraiato sulla tovaglia, come se qualcosa sia andato storto e sia caduto e nessuno lo abbia poi raccolto. C'è  una nube giallognola che parte dalla sua imboccatura per disperdersi in un vago triangolo rovesciato, che ora è asciutto. I bicchieri sono leggeri, di cristallo, è fondamentale che per adesso si tenga conto esclusivamente della trasparenza della materia di cui sono fatti. Significa soffermarsi soltanto su di essi e non guardarvi attraverso, come fossero una lente.  L'indicazione è dunque quella di trattenersi un attimo prima, senza andare oltre con lo sguardo, evitando di scorgere qualsiasi oggetto che comparisse oltre di loro, attraversandoli con la vista. Per fare diversamente, per trascurarli considerandoli un mezzo, ci sarà tempo, bast

Qui e ora, al di qua della siepe

  L'altro giorno sono andato a casa di Nicola, a mangiare il suo pollo speziato. È una ricetta marocchina di cui il mio amico va fiero, almeno quanto per Leopardi. A cena infatti si finisce come sempre per parlare del poeta di Recanati e dell'Infinito. Colpa delle spezie oppure mia, che sollevo la questione, il tema è l'hic et nunc, il qui e ora, l'istante da vivere con pienezza e leggerezza, senza la testa altrove, cosa complicata, per quanto mi riguarda. E gli faccio notare che, se nella poesia di Leopardi il momento trova spazio sull'ermo colle e al di qua della siepe, oltre di essa c'è l'infinito che egli predilige: l'istante è un pretesto, l'occasione per intravedere e ritrovarsi, al di là di esso,  all'interno di "interminati spazi e profondissima quiete", fino a preferire al presente quel 'posto' remoto e "il dolce naufragare in quel mare". Il qui e ora, al quale Nicola mi consiglia di affidarmi, gli confesso di

‘Il Decameron ai tempi del Covid’, i racconti degli studenti durante il lockdown

Ho sempre consigliato ai miei figli di leggere e di scrivere, perché la lettura e la scrittura sono due attività che servono a esprimersi, a esternare e a rappresentare, o a trovare esternato e rappresentato, ciò che si ha dentro. La lettura, così come la scrittura, ci consentono di metterci in comunicazione con noi stessi e con gli altri. E quindi di non farci sentire soli. Molto bella l'iniziativa di una scuola romana e il libro che ne è seguito, di cui parlo qui , Il Decameron ai tempi del Covid,  i racconti degli studenti durante il lockdown del 2020. Immaginate un 'Decameron' ambientato nella società di oggi, durante la pandemia da Covid, anziché quasi 700 anni fa e ai tempi della peste. Immaginate anche che al posto delle sette donne e dei tre uomini dell’opera di Boccaccio, che per dieci giorni si rifugiano fuori da Firenze per sfuggire al morbo che imperversa nella città, vi siano ventiquattro ragazze e ragazzi dodicenni, studenti di seconda media in una scuola roma

In tutte le anime c'è un interno nascosto

"In tutte le anime, come in tutte le case, al di là della facciata, c'è un interno nascosto".  Meraviglioso José Saramago, che cita Raul Brandão a presentazione del suo  Lucernario.    Ma ancora meglio di lui, questa volta, fa sua moglie Pilar del Rio, che, nella prefazione del "libro perduto e ritrovato nel tempo" del Nobel portoghese, ne ricorda la regola di vita, tante volte espressa per iscritto o a voce: "Nessuno è obbligato ad amare nessuno, ma tutti abbiamo il dovere di rispettarci". Pilar si riferisce al romanzo di Saramago, inviato a una casa editrice portoghese nel 1953 e da cui lo scrittore non ricevette risposta fino al 1999, quando l'editore un mattino lo chiamò al telefonò per dirgli che sarebbe stato onorato di pubblicarlo.  Dopo ben 46 anni in attesa di un riscontro e dopo aver ricevuto il massimo riconoscimento per la letteratura: troppo facile, adesso!  E così, Saramago rispose: " Obrigado , ora no". "Nessuno è obb

Un volo di farfalla

Alcune considerazioni sul concetto di effimero, a cui spesso, più o meno direttamente, ho fatto riferimento negli ultimi post. Prendo spunto in particolare dal più recente, Un loto fiorisce , e dall'idea che ho espresso, secondo la quale la poesia è un tentativo di superare ciò che è caduco attraverso uno sguardo sulla bellezza. Può davvero questa forma espressiva - mi chiedevo - sopravvivere a ciò che è effimero?  La risposta è che non lo so, non sono affatto sicuro che la poesia sia una possibilità di eternità. Però - e di questo invece sono certo - è, come ho detto, un tentativo in tal senso, anche se dall'esito insicuro come qualsiasi altro tentativo. La qualità principale della poesia è l'umiltà, la coscienza dell'impotenza di fronte alla morte, la consapevolezza della mediocrità generale, così come quella della presunzione che spesso gli uomini possiedono.  E, nonostante tutto, la poesia è vicinanza, comprensione: è un sorriso sulle debolezze e sulla miseria umane

Il contadino e il cacciatore: due idee di individualismo

Tu mi chiedi perché mai io passi la vita a scrivere. Lo trovo forse un divertimento? Ne vale la pena? Ma, soprattutto, è ben pagato? Altrimenti, quale sarebbe il motivo?... Io scrivo solo perché  c'è una voce in me  che non vuol tacere. Sylvia Plath scrisse questa lettera in versi all'età di sedici anni. Mi ritrovo nelle stesse ragioni della poetessa americana: anch'io scrivo perché non so tacere. E non so tacere perché per me scrivere è una terapia, mi serve a chiarirmi le idee, a sviluppare dei ragionamenti, a dare un senso, che altrimenti mi sfuggirebbe, alla realtà.  Non si tratta mai di riprendere una discussione. Per me, scrivere è spiegare, prima di tutto a me stesso. Ciò premesso...   ...Il fatto che l'argomento sia di per sé un paradosso mi ha fatto impiegare più tempo del dovuto per metabolizzarlo. Una delle mie debolezze è quella di partire sempre da una presunzione di onestà intellettuale per chi mi parla, da un approccio il più possibile obiettivo. Non pens

Sbagliamo a non guardare il mondo con gli occhi dei bambini

 Sono sensazioni che abbiamo provato tutti, nei mesi di lockdown che abbiamo condiviso con i nostri figli, così come nei giorni di spensieratezza, durante la parentesi estiva. Le ripercorre Silvia Avallone sul Corriere della Sera di oggi.   "Una mattina di dicembre ho accompagnato mia figlia al parco per una giornata di scuola all’aperto. Guidando sotto una pioggerellina fine e il cielo plumbeo, mi sono lasciata andare allo sconforto. Ero stanca. Di rinunciare ancora a quel che credevo il minimo sindacale: vedere i miei genitori per le feste. Di ritrovarmi in balia del presente senza poter azzardare un mezzo progetto. Del bollettino tragico, ogni sera.  Arrivate a destinazione, mia figlia si è riscossa dal dormiveglia. Riconosciuto il profilo degli alberi, il gruppetto di amici, ha cercato di liberarsi dal seggiolino con impazienza. Siamo scese nel freddo. Il parco era pieno di fango, di rami spogli, di desolazione. I bambini però saltellavano emozionati, infagottati nelle tute da

Una volta è nessuna volta

 "Einmal ist keinmal" vuol dire "una volta è nessuna volta". Ma questa è soltanto la traduzione letterale, sintetica e anche priva di spiegazioni del proverbio tedesco. Lo chiarisco a chi mi ha chiesto perché questa frase sia presente nel mio 'stato' di WhatsApp: è il nucleo intorno a cui ruota L'Insostenibile leggerezza dell'essere di Milan Kundera e ha tanti significati nei quali mi riconosco.  "Ciò che succede una volta soltanto è come se non fosse mai successo". Spesso infatti non abbiamo il tempo di renderci conto di ciò che ci accade. Non percepiamo la portata delle nostre esperienze, non ci rendiamo conto del momento che viviamo. Siamo del tutto impreparati di fronte alle novità e questo è talmente vero che, quando ci accorgiamo del loro valore, spesso è già troppo tardi. La bellezza di ciò che ci accade evapora ancor prima di riuscire a coglierla. Così come i fatti brutti: ci cadono addosso quando ormai non possiamo più evitarli. E&

Covid e Natale, "attenzione alle foto dei minori sui social"

Panettone, spumante e foto di rito, magari da postare sui social. Con il Natale alle porte e nel pieno della secondata ondata dell’epidemia da Covid, il cenone sarà circoscritto al solo nucleo familiare, ma saranno molti i genitori che, volendo condividerle con una platea più vasta di quella presente nella loro sala da pranzo, pubblicheranno su internet le immagini della festa, anzitutto quelle dei loro bambini, dato che infondo il Natale è propriamente una ricorrenza per i più piccoli. Tuttavia, “pubblicare foto di minori sui social può essere molto più pericoloso di quanto si possa immaginare”, avverte Antonella Laganella, avvocato e giudice onorario alla sezione Minori della Corte d’Appello di Campobasso, nell'intervista che mi ha rilasciato per l'Adnkronos . “In questo periodo emergenziale – sottolinea l’avvocato - in cui lo stare in casa è fortemente raccomandato per contenere il contagio da Covid, si è intensificata in maniera esponenziale, quasi parossistica, l’attività,

Ventunesima lettera: fantasmi

Ce l'ho in mente già da qualche tempo questa lettera un po' strana, ma riesco a scriverla soltanto adesso che ho messo finalmente le idee a fuoco. Parla di fantasmi, questo però non vuol dire che abbia a che fare con la fantasia. Infatti, l'argomento è la corrispondenza, l'illusione e la disillusione. La prima è il fondamento sul quale qualsiasi relazione dovrebbe basarsi. È l'aspirazione a un rapporto paritario, un desiderio forse utopistico, in questo senso è un fantasma che non si è ancora manifestato. La seconda è il non voler considerare il fatto che il rapporto è impari, il fantasma prende forma ma l'idea che possa effettivamente esistere viene respinta. La terza è la presa di coscienza della mancanza di reciprocità, è il momento in cui il fantasma è scacciato e si dissolve. Avevo 14 anni la prima volta che realizzai quanto per me sia indispensabile costruire relazioni alla pari con gli altri. Il mio migliore amico era un compagno di classe intelligente e

Il compito del padre: una risposta

Circa un mese fa, un'amica mi ha domandato il perché di alcune mie scelte spiacevoli che, per molto tempo, hanno condizionato gran parte del mio passato. Sul momento non ho saputo risponderle, dicendole che il motivo dovevo averlo scritto da qualche parte, ma non ricordavo dove. Grazie a un'altra amica, che inconsapevolmente ieri me ne ha offerto lo spunto, ho ritrovato quelle ragioni: le avevo scritte nel 2012 e hanno a che fare con il patrimonio , inteso come compito del padre .   Fra le altre cose, in quel post dico: " ... in questi giorni si è palesato concretamente ciò che da sempre ha rappresentato, nel bene e nel male, il mio modo di vivere volto a rispettare, con un senso di responsabilità a volte più grande di me stesso, gli impegni presi, alcune decisioni irrevocabili e certe relazioni ". E, ancora: " Un mio conoscente, al quale ho raccontato i dettagli, che qui mancano, di tutta questa storia, mi ha detto che ho saputo guardare lontano, al futuro dei

La pasta alla Norma

Per sopravvivere, l'uomo non ha bisogno soltanto di sentirsi a posto con la propria coscienza, ma anche di mangiare. Per questo, ha inventato la pasta alla Norma...  Faccio il verso al post precedente , invertendo i termini della prima frase - ma tanto il senso non cambia -, nel tentativo di alleggerire, pur riparlandone, temi quali l'autoassoluzione e l'assenza di contenuti nelle frasi tipiche degli slogan, descrivendo uno dei miei piatti preferiti, non solo perché è squisito, ma perché simboleggia l'unità di ciò che è separato ed è una preparazione schietta e sincera, proprio come piace a me: non è una ricetta furba, che prende in giro chi la gusta o vuole convincere della propria bontà ricorrendo a sofisticazioni superflue. La pasta alla Norma è una vera e propria sinfonia - d'altronde, il suo carattere musicale è annunciato fin dal nome che, non a caso, è ispirato all'opera omonima di Vincenzo Bellini -, è un accordo armonico di sapori che sono distinti e al

Assoluzione piena

Per sopravvivere, l'uomo non ha bisogno soltanto di mangiare, ma anche di sentirsi a posto con la propria coscienza. Per farlo, ha inventato un sistema molto astuto e che mette in atto non appena qualcosa lo fa sentire colpevole: si prende in giro da solo, si giustifica, cerca una spiegazione valida per convincersi della propria buona fede, fa leva sulle proprie ragioni, pone se stesso davanti a tutto, mette innanzi le sue priorità: in definitiva, si autoassolve.   Molti anni fa - non voglio entrare nei particolari di una vicenda piuttosto triste - una persona rubò dei miei beni. Lo venni a sapere. Glie ne chiesi conto. Mi rispose che non si sentiva una ladra, che era un proprio diritto prendere qualcosa di mio dopo avermi dato - a sua volta, pensava - qualcosa di suo. Si giustificava dicendo di considerare uno scambio, una compensazione la propria decisione di prendere di nascosto all'altro senza avvertire e né spiegare, in maniera arbitraria, unilaterale, non condivisa. Avreb

Il mio orologio

Ho comprato l'orologio che porto al polso un anno fa, in concomitanza con alcuni eventi che hanno stravolto, se così si può dire, l'andamento regolare della mia storia personale.  Il mio orologio non mi serve per sapere che ora è e nemmeno per misurare il tempo. Ha la carica manuale, l'ho scelto proprio così, non l'ho voluto con il movimento automatico. Avevo deciso che lo avrei ricaricato tutte le mattine, che ne avrei girato la corona per farlo funzionare e per ricordare ogni giorno, facendo questo gesto, che non dovrò più perdere tempo e che me ne starò il più lontano possibile da scelte inutili o spiacevoli.  Ogni volta che lo guardo, il mio orologio mi ricorda di rimanere alla larga da qualsiasi automatismo, mi chiede di mettere in discussione molte cose, prima di tutte me stesso. Giorno dopo giorno, l'orologio mi serve a mantenere questo mio impegno e a ricordare, a tenere viva la memoria. Lo osservo: i giri che impongo alla corona danno alle lancette l'im