Alcune considerazioni sul concetto di effimero, a cui spesso, più o meno direttamente, ho fatto riferimento negli ultimi post. Prendo spunto in particolare dal più recente, Un loto fiorisce, e dall'idea che ho espresso, secondo la quale la poesia è un tentativo di superare ciò che è caduco attraverso uno sguardo sulla bellezza. Può davvero questa forma espressiva - mi chiedevo - sopravvivere a ciò che è effimero?
La risposta è che non lo so, non sono affatto sicuro che la poesia sia una possibilità di eternità. Però - e di questo invece sono certo - è, come ho detto, un tentativo in tal senso, anche se dall'esito insicuro come qualsiasi altro tentativo.
La qualità principale della poesia è l'umiltà, la coscienza dell'impotenza di fronte alla morte, la consapevolezza della mediocrità generale, così come quella della presunzione che spesso gli uomini possiedono.
E, nonostante tutto, la poesia è vicinanza, comprensione: è un sorriso sulle debolezze e sulla miseria umane. La considerazione che, in ogni caso, il nostro è un frangente destinato a finire.
La poesia è uno sguardo su una farfalla che vola per un giorno soltanto. Su un soffio di vento. E' un battito d'ali.
La presa di coscienza di un attimo effimero, appunto.
E' proprio qui che, spesso e volentieri, il poeta prende voce, non fosse altro che per ridimensionare chi si crede immortale, per riportarlo sul pianeta Terra, per fargli dono della consapevolezza, facendolo per giunta in maniera del tutto disinteressata e senza giudicarlo, che ciascuno di noi si scelga pure la vita che preferisce, ma che almeno conosca questa sua scelta.
Sempre di scelte, infatti, si tratta.
C'è chi, ad esempio, considera numeri gli uomini e li conta, stabilisce priorità, compila classifiche, promuove o boccia, e non ricorda di essere, secondo la sua stessa concezione, a sua volta un numero di un computo più generale.
C'è chi crede di essere il padrone, senza sapere che il suo non è uno spazio, né un tempo infinito. Il suo, qualora ne abbia la possibilità, resterà sempre un intervento limitato nella vita degli altri, le cui esistenze seguono in ogni caso e comunque il proprio corso. Il padrone è solamente una diga di cemento, che lascia il tempo che trova. Mentre i sudditi - chiamiamoli così, almeno il padrone è felice - sono il fiume vasto e il suo scorrere impetuoso, che non si può arginare.
C'è chi promette e non mantiene, chi oggi tutto e domani niente: questo è effimero, perché, prima ancora che degli altri, una persona così non ha rispetto per la propria parola e, ammesso che ne abbia una, per la propria coscienza.
Chi preferisce apparire, chi vive per la facciata e conduce un'esistenza che non è la propria, è effimero. E lo è anche chi mette davanti a tutti e a tutto se stesso, prima io e poi il resto del mondo, perché non ha capito che duriamo poco, che così non c'è domani e che in questo modo non siamo niente di più che uno sputo - ed è una concessione fin troppo grande - nell'universo.
L'incoerenza, infine, è effimera, fin dalle sue fondamenta e a partire dalla sua ragion d'essere. È un palazzo dall'architettura fragile, che si sgretola e che scricchiola a cominciare dal giorno stesso in cui è stato costruito.
La presunzione, la sicurezza, la tracotanza, la superbia, la matematica applicata all'uomo: sono cose effimere, ma chi prova questi sentimenti non lo immagina nemmeno, perché vive in una perenne e beata ignoranza.
Il non avere certezze, ma costantemente dei dubbi, farsi delle domande, mettersi in discussione, sapere di sbagliare, non ritenersi infallibili è, invece, inevitabilmente e meravigliosamente umano.
E la poesia?
La poesia è il tentativo di raccontare tutto questo.
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