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Visualizzazione dei post con l'etichetta treni

Ti ho mai parlato di Paffi?

  Chi era questa Paffi e perché mi torna in mente, dopo quasi quarant'anni, una ragazza della quale ricordo soltanto il soprannome? Era una studentessa di un'altra sezione delle medie, che nei corridoi della scuola incrociai poche volte e che, se la dovessi rincontrare oggi, neanche riconoscerei. Facemmo il viaggio scolastico di terza insieme, la sua classe con la mia, e io capitai nel suo stesso scompartimento del treno. Inutile dire quanto mi piacesse, superfluo e poco credibile, per chi ha dimenticato certi batticuore, affermare che mi innamorai di lei non appena i nostri sguardi si incrociarono. Ma gli adolescenti si innamorano a prima vista, sarà capitato a ognuno di noi e non una volta soltanto. Non ne ricordo il nome, come ho detto, perché la conoscevo come Paffi, ma il viso ce l'ho ancora bene in mente: tondo, gli occhi grandi color nocciola, la carnagione chiara, i capelli neri, lunghi e lisci. Indossava una felpa fucsia, leggera, sopra ai jeans aderenti, blu scuro

S., R. e il cane

Chi sono S. ed R.? Sono l'autore e la destinataria di quella che vorrebbe essere una promessa d'amore, fatta qualche giorno prima del loro matrimonio, ma che in realtà non è altro che una richiesta di comprensione di fronte ad alcune eventualità già capitate nel corso di un certo numero di anni di fidanzamento. Chi scrive sta mettendo le mani avanti, dicendo che potrebbe succedere di tutto, che "potrei fare chissà cosa, ma tu, da ora in poi, non dubitare di me, credimi e amami lo stesso". Chi scrive chiede fin da subito che lei in futuro accetti ogni sua giustificazione. E questo perdono al buio, prestabilito, la comprensione nonostante tutto, già programmata e pattuita, è per me un fatto inaccettabile.  Amore per sempre, amore malgrado e di fronte a tutto, è per me un ossimoro, almeno quanto l'amore teorizzato, quello soltanto detto, e che poi nella pratica, nel tempo, non ha riscontro con la realtà, nei gesti quotidiani. Per me l'amore si compone di fatti, n

Ritorno

Scrivo seduto sulla poltrona di un treno, guardando il mare tutte le volte che compare sullo schermo del mio finestrino, nel breve spazio fra una casa e un’altra o in quello più durevole, appena dopo una stazione in cui il convoglio ha appena fatto sosta, prima di ricominciare a correre.  Sono stato lontano una settimana e, ora che sono in viaggio, realizzo quanto sia stupida questa parola: ritorno. Sbaglia sia chi ritorna e sia chi aspetta qualcuno che stia arrivando, anche dopo pochi minuti da quando è andato via, a pensare di ritrovare esattamente ciò che ha lasciato, come se il momento dell’addio abbia potuto congelare il tempo: gli occhi, che si salutarono, ancora lì, fermi in quel frangente davanti alla porta di casa o, nelle orecchie, le brevi parole di commiato pronunciate, sospese nell'aria. E’ un’illusione credere di ritrovare ciò che si è lasciato, così come è sempre un’idiozia pensare che il tempo si fermi. Stare insieme significa soprattutto percepire, senza alcuna pre

Soltanto il presente, l'istante e la sua eternità contano

I due ragazzi poco più che bambini si sono baciati, ieri, sul treno, nel giorno di San Valentino. Una rosellina sbiadita e che sembra sporca è sistemata in terra, accanto a uno zaino, fra i piedi di lei. I suoi occhi ogni tanto si guardano attorno, un vezzo, una puerile vanità, in cerca di qualche passeggero che la stia spiando. La luce è diffusa, non c'è spazio per le ombre nello scompartimento e il tempo scorre come sempre: un viaggio, una continuità dal passato al presente che è già un tuffo nel domani. Mi tornano in mente tutt'altre parole sulle tele del Caravaggio, i giochi di ombra e di luce, il cronometro che si ferma dove è presente il fascio luminoso e tutt'intorno il silenzio, il buio, il vuoto che è assenza di tempo. Penso a situazioni diametralmente opposte, nelle quali l'istante corrisponde alla bellezza 'immortalata', nel senso più stretto del termine, da un raggio di luce. Il resto del mondo reso inutile, superfluo, addirittura inesistente. Più ne

Sogno di Natale

Lo spirito natalizio non c'entra nulla. Sia per mie ragioni poco tradizionaliste e sia per il largo anticipo, quasi tre settimane, che ci separano dall'arrivo di Babbo Natale. In questi giorni, Dodokko, per motivi del tutto casuali, guarda e riguarda in televisione The polar express , il film d'animazione del 2004 di Robert Zemeckis. La sera, invece, prima di addormentarsi, vuole che gli legga il libro d'ordinanza, quello che accompagna quasi sempre l'ultimo cartone del momento. Molti disegni e poche parole, per fortuna, nel volume di Chris Van Allsburg, ché il sonno di entrambi di recente è invincibile, che raccontano il viaggio del treno verso il Polo Nord.  Il viaggio: mio figlio si addormenta, questo lo so con certezza, pensando di trovarsi su un vagone del Polar Express, assieme a tutti gli altri bambini che riempiono il suo scompartimento, gli occhi trasognati come quelli del protagonista del film. Ieri sera gli ho chiesto se gli fosse capitato, recentemente,

Quando il bambino dà i numeri

"Uno, due, tre, quattro, ventiquattro, venticinque, trentasei, trentasette, trentotto, trentanove...quaranta!". Il bambino sul treno esulta e scoppia a ridere quando arriva rapidamente al traguardo del numero quaranta, oltre il quale non sa andare. E infatti, subito dopo ricomincia: "Uno, due, tre...", saltando qua e là, dove gli pare e dove non ricorda. Non c'è niente di strano per lui a iniziare di nuovo il conto e in tal modo, per tutto il viaggio, dopo il quaranta c'è l'uno...non il quarantuno. Va bene così. Se sapesse contare secondo quanto prescritto dalla matematica che, come si sa, non è opinabile, dove arriverebbe il bambino, a ottanta, novanta, cento? Glie lo auguro di cuore, anche se non lo conosco. Ma preferisco vederlo ricominciare: dopo il quaranta l'uno e, dopo l'uno, il due, il tre, ancora una volta fino a quaranta. Con il sorriso e la soddisfazione di arrivarci, anche saltando qua e là, da un numero all'altro, da un anno così

Passaggi

"Passaggio": mi gira per la testa questa parola oggi, mentre sono in viaggio su un treno metropolitano, che ogni cinque minuti passa e si ferma in una stazione sempre diversa ma tutte le volte così uguale a quelle che l'hanno preceduta. "Passaggio": un termine che mi fa pensare al tempo per due motivi. Il primo, il più ovvio, è che, per passare da un punto a un altro, un oggetto ha bisogno di tempo. Fosse pure di una frazione di secondo, il passaggio avviene in uno spazio e impiega un certo lasso di tempo per compiersi. Il secondo ha a che vedere con la connotazione che il termine "passaggio" assume con l'età: quello dei bambini è un tempo che va a rilento e che non corre, come invece fa quello degli adulti. Ma dirò di più: i bambini non pensano affatto al passare del tempo o, perlomeno, non approfondiscono quel barlume di pensiero che ogni tanto può far capolino nei loro cervelli.  Quando ero bambino, il passaggio per me non era per niente tutto q

Come la capocchia di uno spillo

Vi sono braccia che si allargano e mani che si tendono verso chiunque, come quelle del neonato che ho visto nel treno. Un sorriso, il suo, rivolto non solo verso chiunque incrociasse con gli occhi, ma anche all'indirizzo di chi non si accorgeva affatto di lui, ma che tuttavia sapeva eccitarne la curiosità. E vi sono sguardi e parole che bambini ormai più grandi, come Dodokko, dedicano solamente ai genitori. Il mondo si contrae inevitabilmente da una certa età in poi. Si incomincia a classificare, a dare un ordine, a fare una graduatoria delle cose fondamentali e di quelle che non sono tanto importanti. La gente non è più tutta uguale, indistinta, allo stesso modo benevola. Ci sono persone con cui si può parlare e altre con cui è meglio starsene in silenzio. Ci sono papà distanti, come me in questi giorni, a causa del lavoro, con i quali si può urlare al telefono: "Vieni da me, ora! Perché devi sempre lavorare? Voglio che vieni subito, stasera!". Non vi sono altre persone

Treni

Treni Ho cenato con qualcuno ho riempito un po' il tempo tappato qualche buco Per un istante ho lasciato scivolarmi addosso i pensieri Poi ho digerito la cena e ho ricominciato il giro Prendendo autobus e treni che invece di andare avanti fanno sempre lo stesso percorso Come al solito rimango fermo al punto di partenza Alla stazione di origine con cui ogni giorno di più la mia destinazione coincide Vado da qualche parte e ritorno indietro L'unica cosa che cambia è che ho mani sempre più vuote e sono sempre più stanco Quando prende il treno mio figlio ignora dove stia andando Ma il suo viaggio è appena all'inizio e ogni collina ogni casa sono una scoperta dell'America Si riempie stomaco e occhi con qualsiasi oggetto veda Mangia con appetito una cena non precotta I suoi binari viaggiano uniti A senso unico. (2010)

Domande domande domande

Sapevo che sarebbe arrivato anche il momento delle domande dirette, fredde e circostanziate. Gli animali, prima o poi, imparano a procurarsi il cibo da soli. I piccoli uomini, invece, a un certo punto della loro crescita, chiedono e vogliono risposte. Chiedono e non mollano, finchè non sentono con le proprie orecchie spiegazioni convincenti. Prima di questa fase, i bambini fanno domande generiche e soprattutto si accontentano di ogni tipo di spiegazione, anche fantasiosa. Soprattutto, con grande 'presunzione', dicono molto la loro e stanno a sentire poco la ragione degli altri, alla quale sono minimamente interessati. Due mattine fa, per la prima volta, la piccola intelligenza mi ha domandato in modo diverso ciò che da sempre ogni mattina mi chiede: "Vai al lavoro?". "Sì", ho risposto. "Perchè?", ha ribattuto. "Per guadagnare dei soldi", ho detto introducendo così l'incipit del capitolo che di solito prosegue con "...perchè i sol

La famiglia indiana

A volte il futuro te lo ritrovi davanti agli occhi senza aspettartelo. Magari sta seduto di fronte a te, nello scompartimento di un treno che tutti i giorni fa su e giù dal centro di Roma alla periferia. Seduto ogni giorno per anni, tanti anni, fino al momento in cui il futuro diventa presente. La famiglia di indiani l'ho incontrata almeno tre volte. Sempre alla stessa ora, sempre intenta nelle stesse occupazioni e i membri che la compongono occupano sempre la medesima posizione. In ordine, da sinistra a destra: bambino, papà, mamma, bambina. Si vede che sono una famiglia per bene, semplice e serena: gente che lavora tanto e che guadagna poco. I due bimbi, prima ancora che il treno parta, hanno tirato fuori libri e quaderni da zaini più grandi di loro. Cominciano a leggere e a scrivere: fanno i compiti in lingua italiana e, sempre in italiano, chiedono ai genitori di essere aiutati. Nonostante la stanchezza evidente, questi ultimi non si risparmiano in consigli e, quando sbagliano

La risata sul treno

I treni sono un mondo: nei vagoni puoi incontrare sempre la stessa gente e incontrare sempre gente diversa. Stamattina è stato il turno della zingarella, salita con fratellino e figlia di 13 mesi e che ha preso posto proprio di fronte a me. Soltanto venti anni e da poco più di un anno madre, la piccola le sta seduta sulle ginocchia e giocherella con l'auricolare del lettore di Mp3 della mamma e che fa la spola fra l'orecchio di questa e quello del fratello che le siede accanto. Fra un passaggio e l'altro, ad un tratto la zingarella decide di fare ascoltare la musica anche alla figlia. Così, le poggia la cuffia all'orecchio, ma appena lo fa, la bimba irrompe in un pianto disperato. La mamma stacca immediatamente lo strumento di tortura e le chiede: "Vuoi la 'teta'?". E appena la figlia dice di sì, si scopre un seno e comincia la bevuta. La bambina adesso è serena, ciuccia beata e ha già scordato la 'tragedia' di poco prima, così come dimentica l