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Ritorno


Scrivo seduto sulla poltrona di un treno, guardando il mare tutte le volte che compare sullo schermo del mio finestrino, nel breve spazio fra una casa e un’altra o in quello più durevole, appena dopo una stazione in cui il convoglio ha appena fatto sosta, prima di ricominciare a correre. 
Sono stato lontano una settimana e, ora che sono in viaggio, realizzo quanto sia stupida questa parola: ritorno.
Sbaglia sia chi ritorna e sia chi aspetta qualcuno che stia arrivando, anche dopo pochi minuti da quando è andato via, a pensare di ritrovare esattamente ciò che ha lasciato, come se il momento dell’addio abbia potuto congelare il tempo: gli occhi, che si salutarono, ancora lì, fermi in quel frangente davanti alla porta di casa o, nelle orecchie, le brevi parole di commiato pronunciate, sospese nell'aria.
E’ un’illusione credere di ritrovare ciò che si è lasciato, così come è sempre un’idiozia pensare che il tempo si fermi. Stare insieme significa soprattutto percepire, senza alcuna presunzione di fermarlo, il tempo che passa, i cambiamenti che si succedono istante dopo istante, cogliere in uno sguardo ciò che non sarebbe possibile spiegare a parole. 
Ma, è vero, per farlo occorre un minimo di pathos, voglia di capire, amore verso l’altro. E tutta questa predisposizione, questa grande e ottimistica enfasi, è anch'essa illusoria: chi di noi, davvero, se ne sta così tanto concentrato sugli altri, pronto ad afferrare ‘l’attimo fuggente’ nello sguardo altrui o, addirittura, il proprio sentire? Siamo un tantino distratti, in realtà, ma non addentriamoci in discorsi retorici riconducibili, in definitiva, al tema consueto del tempo che passa...assieme alla vita. 
Volevo soltanto dirvi di non preoccuparvi, e che di me torna ciò che ricordate, anche se, come ho appena accennato, le cose non stanno esattamente così. La memoria è una strana bestia, mi ha detto una persona che ho conosciuto qualche giorno fa: ci fa ricordare quel che può esserci utile e scordare ciò che può farci male. Mi ha raccontato la storia dei suoi nipoti, che una decina di anni fa, all'età di sei e nove anni, hanno perso il padre in un incidente. Sono cose che capitano, gli incidenti, si chiamano apposta così, perché non avvisano, non bussano alla porta, né fanno una telefonata.
Capitano, e arrivano inaspettatamente, e possono succedere a tutti, anche me. 
E’ stato allora, dopo aver ascoltato questo racconto di un padre e dei suoi due figli che avevano la vostra stessa età, che ho pensato al mio ritorno: “E se anche a me capitasse qualcosa...se non dovessi più tornare?”, mi sono detto. “E se non facessi più ritorno, cosa ricordereste di me a distanza di qualche anno?”. 
Dimentichereste, per poter andare avanti o, nella vostra memoria, abbellireste il ricordo, come quando si dipinge una tela? 
E’ un quadro sbiadito dal sole dei giorni che passano quello che ormai hanno davanti agli occhi quei due bambini che adesso sono dei ragazzi. I nipoti del mio amico, infatti, non ricordano nulla del loro padre. Non lo rammentano in alcuna circostanza particolare, se non in quelle congelate in qualche fotografia, né ne riconoscono la voce registrata in un vecchio telefonino. Mi sembra talmente pazzesca questa storia dei ricordi e dei ritorni, se soltanto penso minimamente all'ipotesi che anche voi potreste dimenticare tutto di me e che, in definitiva, potrei farlo anch'io, per proteggermi da una eventuale perdita. 
Siete qualcosa di talmente irrinunciabile, che pensarvi rimossi, cancellati dalla memoria, mi appare un fatto totalmente assurdo, come un arto amputato, che dovrebbe essere lì, al suo posto, ma che non c’è. Far sparire per sempre qualcuno che si è amato significa perdere anche gli anni che abbiamo trascorso assieme a lui.
Vuol dire abbandonare perfino se stessi all'oblio.
Ma questo dimenticare, quando ce ne andiamo, e questo credere di ritrovare esattamente ciò che abbiamo lasciato, quando invece torniamo e siamo cambiati, fanno parte della nostra stessa natura, che è illusoria perfino nei confronti di noi stessi.

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