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Visualizzazione dei post da febbraio, 2011

La poltrona: papà, quando torniamo a casa dormiamo come qui?

Ho dormito per nove notti su una scomoda poltrona, durante la degenza di Dodokko in ospedale, affianco al suo lettino. Disteso in posizione supina su quell'arnese, che si apriva a non più di 140 gradi e che lasciava uno spazio vuoto sotto la zona lombare della mia schiena, a ricordarmi, a ogni frequente risveglio, la potenza della forza di gravità con un doloretto acuto e che si faceva vivo al minimo movimento. I piedi e parte delle gambe poggiate su una sedia, la parte più interna, invece, anche lei sospesa nel vuoto. Ma dopo un paio di giorni ti abitui anche a queste scomodità e il disagio notturno è incomparabile al conforto che puoi dare a un figlio dormendo vicino a lui. Quando ormai con Dodokko si parlava di fine del ricovero e di ritorno a casa, un giorno lui mi dice: "Papà, quando torniamo dormiamo come qui?". Gli rispondo, ammirato per la mia rara prontezza di spirito, che nella sua cameretta "non entrerebbe una poltrona tanto grande". "Però - gli

Tecniche di addormentamento: l'egiziana, la bulgara e l'ucraina

Se c'è una cosa bella degli ospedali italiani è che sono democratici, accessibili a tutti, senza distinzione di classe o di ceto. Il sistema sanitario, la sua base almeno, è fruibile a chiunque: ricchi, poveri, italiani, comunitari ed extra, belli e brutti. I Pronto Soccorso - non dico le eccellenze, né parlo del problema delle liste di interminabile attesa, né delle file ai Cup -, i livelli di assistenza minimi qui da noi sono un diritto per tutti. E allora, quando vai all'ospedale è inevitabile immergersi in una realtà variegata e multicolore, anche per ciò che riguarda le tecniche di addormentamento utilizzate dai genitori di diversa nazionalità per i figlioletti ricoverati. Non sono sicuro veramente che il modo per far prendere sonno ai bambini piccoli, adoperato dalle persone straniere che ho incontrato, sia utilizzato anche nei loro Paesi di origine o se il 'copyright' sia un'esclusiva particolare dei diretti interessati. Ma quel che salta all'occhio è la

La puntura

Una cosa singolare che è avvenuta durante il ricovero di Dodokko e che ha sorpreso tutti, lasciando a bocca aperta perfino gli infermieri: la seconda sera, prima dell'iniezione, Dodokko si è mostrato addirittura impaziente di farla, avendomi chiesto più volte "ma quando arrivano per la puntura?!" e poi facendosela fare davvero, senza lacrime e quasi con un senso di pace. Insomma, non era spavalderia - come avevo pensato in un primo momento - la sua felicità per l'intramuscolare, ma forse - ipotizzo - un momento di stordimento dovuto ai farmaci, dato che tutti i bambini hanno paura della puntura.  E infatti Dodokko, prima della seconda sera di ricovero, aveva il terrore dell'iniezione. E il terzo giorno di terapia l'ansia si è riappropriata prepotentemente di lui, quando ha visto gli infermieri con la siringa in mano. Un ritorno alla normalità non dico proprio piacevole, ma grazie al quale ho provato, accanto alla tensione che un bambino impaurito provoca nel g

Peter Pan all'ospedale

Nella piazzetta ormai divenuta familiare per le battaglie con i coriandoli, dopo una lunga attesa per il vestito di carnevale introvabile, sabato Dodokko aveva finalmente potuto indossare la sua maschera di Peter Pan. Aveva combattuto con una spada rosa con tutti i bambini che aveva incontrato e che avevano armi come la sua: un palloncino tubolare gonfiato da un clown di strada e acquistato per un euro. Dodokko si sentiva forte come un leone nel suo abito verde e io ero quasi più felice di lui nel vederlo tanto allegro e combattivo, mentre dava vita al suo sogno sull'Isola che non c'è. Siamo rimasti a giocare in piazzetta fino a sera e poi, dopo una giornata di gloria, siamo tornati a casa. Dodokko ha cenato con un grande appetito e, poco dopo, siamo andati a dormire. Verso le due i primi colpi di tosse, un rumore gutturale mai udito prima, e la febbre a 38 e mezzo. Sciroppo antipiretico e il giorno dopo contattiamo la pediatra, la quale ci dice di passare in ospedale, dove è d

Il tempo all'ospedale

Si china sui figli distesi lo sguardo dei genitori E come pittori improvvisati disegnano un lieve sorriso Una goffa curva delle labbra affianco alla mal celata tristezza Sdraiato sul lettino è un presente costante il tempo dei bambini Senza ricordi passati a prender consistenza e aspettative realistiche Eppure è verso la finestra che i figli volgono lo sguardo E' così che dilatano il tempo nel sempre identico mutare dei giorni nella inutile corsa delle ore C'è un sole senza luce oltre le vetrate grigie a tenere compagnia Un astro volubile come una promessa eterna e mai mantenuta.   (2011)

L'inverno e la fine dell'estate

E' l'estate la stagione più brutta, la più attesa ma anche la più deludente. Quella che ti lascia l'amaro in bocca, perché non fa in tempo ad arrivare che è già finita. Non è l'autunno, come tutti pensano, con le foglie che cadono dagli alberi e la pioggia, e nemmeno l'inverno, col vento gelido e il raffreddore.  E' un po' di tempo che ho questa idea fissa sull'estate: il periodo con i mesi più caldi, quelli delle vacanze e del tempo libero, dei viaggi e del mare, delle giornate lunghe da vivere all'aria aperta. Eppure, nonostante ciò, arriva sempre, una sera di fine agosto a tradirti, improvvisa, una brezza fredda che ti colpisce alle spalle e che ti coglie alla sprovvista sul far della sera, magari mentre sei assorto a contemplare un tramonto. E' in quel preciso istante che ti accorgi di quanto i giorni siano ormai diventati corti, di come tutto si sia ormai compiuto, che è l'ora di ritornare a casa. E' in quel momento che ti rendi cont