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Visualizzazione dei post da febbraio, 2012

Il maiale

Non so quale di queste due scene, a cui ho assistito da bambino, non farei vedere oggi ai miei figli.  La prima era un fumetto, che aveva la pretesa di essere divertente, e rappresentava una rampa che saliva e si immetteva in un tunnel che terminava con un'altra rampa, questa volta in discesa. Era una specie di ponte, con al centro una sorta di serra dentro la quale non si riusciva a vedere cosa accadeva. So soltanto che da una parte vi entrava un maiale e dall'altra ne uscivano, di colpo, prosciutti, salsicce e salami.  Tutto appariva indolore e asettico, in quel disegno in cui non c'era nemmeno l'ombra di una goccia di sangue. E la trasformazione che quell'animale subiva, da essere vivente in cibo, sembrava la cosa più naturale e automatica del mondo. La seconda scena, invece, non era affatto un fumetto: andarono in quattro nel porcile, presero di peso il maiale, fra urla inaudite che facevano ammutolire tutta la campagna attorno, e lo trascinarono al centro del c

L'amore che voglio impararti

C'è un'altra cosa di cui ho l'obbligo di parlarti e che è parente stretta della solitudine. E' l'amore, quello che ti imparano gli esseri viventi: uomini, animali e piante. Bada bene che, tranne in quest'unica occasione, non è corretto dire "ti imparano", perché si dice "ti insegnano". Ma per un argomento come l'amore le cose cambiano e questa espressione non è una facile licenza poetica, ma l'eccezione a una regola che con la grammatica ha ben poco da spartire, mentre ha molto a che vedere con la libertà e, a volte, addirittura con ciò che può apparire indifferenza.  Come ti spiegherò fra poco, i confini fra un'accezione e l'altra sono labili, spesso perfino confusi fra loro. Ma prima chiariamo il concetto da cui siamo partiti: non ci sarà mai alcun maestro che, dall'alto di una cattedra, ti insegnerà a riconoscere l'amore, dopo avertene illustrato la morfologia assieme ai suoi aspetti più intrinseci. Né tu, dal pian

La parola solitudine

C'è una cosa antica, che ti sta accanto fin dal primo giorno in cui sei venuto al mondo, e che conosci bene anche se ancora non ne sai il nome. Si chiama solitudine , pensa che contraddizione avere lei come compagna di viaggio di una vita. Ti ci sei imbattuto col primo vagito, quando per la prima volta hai avvertito improvvisamente freddo e, senza saperne il motivo, hai urlato, cieco di dolore. Finché è arrivato un abbraccio a consolarti, ad accontentarti lo stesso, se per caso non proprio di questo avvertivi il bisogno. Ti sei calmato, e ciò è stato sufficiente a tranquillizzare sia te che chi ti stava di fronte, con buona pace di tutti. C'è questa cosa antica che si chiama solitudine e che è la tua condizione di sempre, la tua parte nella tua storia di uomo, il tuo piccolo momento nella storia senza tempo dell'umanità. Ti avverto subito: solitudine non è altro che assenza di comunicazione, che non vuol dire semplicemente che uno parla e l'altro non ascolta, ma che uno

Quattro spicchi di pomodoro

Quattro spicchi di pomodoro sono il ricordo più bello che conservo di mio nonno. Il frutto era tagliato in un piatto bianco, su una tovaglia dai fiori sbiaditi e distesa soltanto a metà: tutto ciò che restava, accanto a una fetta di pane, di una cena solitaria. Era condito con un pizzico di sale, un poco di olio di oliva, un pezzetto di aglio e una spolverata di origano, di quello che soltanto al sud si trova ancora in mazzetti e dal profumo talmente intenso che, ogni volta che lo usavamo, mia nonna ci avvertiva: "poco, ch'ammarìa" ("mettetene poco, altrimenti il cibo diventa amaro").  Mia nonna mescolava con le mani l'insalata di pomodori, appena prima di mettere l'olio, e quel semplice piatto non era soltanto un contorno ovvero qualcosa che si può fare anche a meno di mangiare: ogni ingrediente aggiunto era un'attesa, significava un'intenzione, rappresentava una cura con la quale accudire e far stare bene gli altri. Sono certo che fosse l'e

A piccoli sorsi

Adesso che stai male devo parlarti e darti da bere.  A piccoli sorsi - mi raccomando - altrimenti potresti vomitare ancora.  La notte non termina mai e tu ti svegli cento volte per la sete. Dici un verso (non lo fai, lo dici, perché è già parola quella con cui ti esprimi) che io ascolto. Sempre identico, sempre lo stesso verso.  Significa: voglio un po' d'acqua.  E io mi affretto a risponderti: ecco l'acqua. Allora tu bevi, non hai ancora finito, ma io devo già toglierti di bocca il biberon. Ti dico: basta adesso, un poco per volta. Ti sistemo sul cuscino, ti riaddormenti subito, ma presto ti sveglierai, ancora per la sete.  Ti accarezzo i capelli, le guance accaldate. Respiro per un attimo il tuo stesso respiro che non ha sapore ed è come lo scirocco, quando soffia al di sopra del mare, l'umidità che sfiora soltanto l'acqua, incapace di fare di più. Ti parlo e ti do da bere per tutta la notte, al buio, a piccoli sorsi. Pronuncio termini che non significano nulla, p

Il gesto del pane

Sono cresciuto in una famiglia nella quale i gesti avevano un valore maggiore delle parole. Mia nonna era un esempio vivente di comportamento. Era andata a scuola fino alla terza elementare, alla sua epoca l'obbligo di istruzione si fermava lì, giusto il tempo di imparare a leggere e a scrivere, grossomodo. Il suo lessico si componeva di poche frasi, ma erano i fatti il valore aggiunto alle parole povere. Sapeva arricchirle con il tono della voce, così come poteva dare loro un peso addirittura maggiore restandosene in silenzio: le bastava muoversi, compiere un gesto. Non sapeva mostrare, ma dimostrare sì, e lo faceva in continuazione. Il valore del pane me lo ha insegnato mia nonna. Lo teneva fermo contro il petto quando lo affettava per farcelo mangiare, questo era il suo gesto. Il vestito nero le si macchiava con una nuvola di farina bruna. Distribuiva le fette tagliate prima a noi bambini, poi agli altri, infine a se stessa, se qualcosa rimaneva, e comunque mangiava in disparte,

P(i)anificare

La scrivo come se si trattasse di una ricetta culinaria, ma voi - lo so - potreste considerarla come un consiglio per essere felici. In ogni caso sbagliereste, perché qui si tratta semplicemente di panificazione o al massimo di pianificazione - attività, lo ammetto, che implica una certa dose di fiducia nel futuro - se proprio volete leggerci un metodo per stare meglio. E' da qualche tempo che non compro più il pane e che lo faccio in casa quasi tutti i giorni, perché l'alimento che io stesso sforno è più buono e salutare, non ci sono altre ragioni. Compro una miscela di farine biologiche, senza pesticidi e muffe, poco raffinate e con indice glicemico accettabile, di tipo 0, macinate a pietra con aggiunta di crusca e germe di grano, specifiche per pane. La sera, attorno alle 20, la impasto con acqua tiepida nella proporzione di 10 : 6 e vi aggiungo una parte di pasta acida, fatta con lievito madre, sottratta nella misura di un terzo all'impasto della volta precedente e cons

Ingranaggi rotti

Una cosa stupida e apparentemente senza significato. Ancora una lettura o un film che ne danno la puntuale, tempestiva spiegazione. Un orologio da due soldi, ma che funzionava ancora, consegnato all'orologiaio semplicemente per sostituivi la batteria e restituitomi, senza alcun imbarazzo, guasto, inutilizzabile, da gettare. E una storia che parla di ingranaggi che si rompono e che si riparano, di cose e di uomini che non funzionano più, di pezzi di vita inservibili, ma poi, improvvisamente, recuperati.  L'orologio non valeva niente e quindi non lo farò aggiustare, mi serviva soltanto perché aveva un tasto  che accendeva una lucetta che mi permetteva di sapere che ora fosse tutte le volte che di notte mi svegliavo. Evidentemente, quell'orologio che non è più in grado di segnarlo, ha fatto il suo tempo. E adesso si trova in un cassetto, ad attendere non so cosa prima di sparire nella pattumiera. In qualche modo, mi sembra che un po' di tempo glie ne resti ancora e che lo

Allattamento, istinto o teorie?

Dev'essere perché siamo in grado soltanto di riconoscere, anziché conoscere immediatamente. Funziona più o meno come per le allergie - chi non ne ha almeno una? - il modo che abbiamo per apprendere. Non si può essere allergici a una sostanza se prima non si è entrati, almeno una volta, anche per un attimo, in contatto con essa. Giusto il tempo per inquadrarla, per compiere una prima valutazione rigorosamente soggettiva. Questa classificazione, giusta o sbagliata che sia, suddivide le cose in due gruppi: quelle accettabili e quelle cattive, quelle che possono passare e quelle che sono dannose per l'organismo.  Ad essere cruciale è la seconda volta che incontriamo la stessa sostanza: se si trova nella lista dei cattivi, il sistema immunitario si ribella e le salta addosso, mentre il corpo si gonfia per prepararsi alla lotta. Riconosciamo, dunque, più che conoscere. E siamo a nostra volta riconosciuti dalle cose. Perché mai, altrimenti, esisterebbero detti come 'non c'è du

Soltanto il presente, l'istante e la sua eternità contano

I due ragazzi poco più che bambini si sono baciati, ieri, sul treno, nel giorno di San Valentino. Una rosellina sbiadita e che sembra sporca è sistemata in terra, accanto a uno zaino, fra i piedi di lei. I suoi occhi ogni tanto si guardano attorno, un vezzo, una puerile vanità, in cerca di qualche passeggero che la stia spiando. La luce è diffusa, non c'è spazio per le ombre nello scompartimento e il tempo scorre come sempre: un viaggio, una continuità dal passato al presente che è già un tuffo nel domani. Mi tornano in mente tutt'altre parole sulle tele del Caravaggio, i giochi di ombra e di luce, il cronometro che si ferma dove è presente il fascio luminoso e tutt'intorno il silenzio, il buio, il vuoto che è assenza di tempo. Penso a situazioni diametralmente opposte, nelle quali l'istante corrisponde alla bellezza 'immortalata', nel senso più stretto del termine, da un raggio di luce. Il resto del mondo reso inutile, superfluo, addirittura inesistente. Più ne

Essere piccoli, sentirsi minuscoli

"Tutti i bambini crescono, tranne uno. Presto vengono a sapere che diventeranno grandi e Wendy lo venne a sapere in questo modo: un giorno, quando aveva due anni e giocava in giardino, colse un fiore e lo portò di corsa alla mamma. La bambina appariva così deliziosa, che la signora Darling si portò una mano al cuore e disse: - Oh, perchė non puoi restare così per sempre! -. L'argomento fu esaurito con queste parole, ma da quel momento Wendy seppe che sarebbe cresciuta. Dopo i due anni, tutti lo vengono a sapere. I due anni sono l'inizio della fine". J. Matthew Barrie, Peter Pan , Rusconi Libri, 2010, p. 69. Non c'è alcun problema nell'essere piccoli. Quando si hanno ancora pochi anni si accetta con disinteresse questa condizione. Non pesa il fatto di essere circondati da adulti: è la normalità a cui ci si è abituati ormai, una consuetudine iniziata fin dal primo giorno di vita. Non esistono confronti e i termini di paragone non sono mai sbilanciati, in favore

Ancora sulle parole: dette o solamente immaginate

"Se mai dovessimo incontrarci": ascoltate bene queste parole e soffermatevi più che potete sulla congiunzione 'se'. Avvertite il peso, il carico di mistero e di connotazioni che questa monosillaba comporta? Cosa significa una frase come "se mai dovessimo incontrarci"? Se un incontro non è affidato al cielo, e davvero non voglio sia così, dov'è il mio intervento, la mia azione, il mio ruolo attivo?  Il vero problema dell'ipotesi di incontrarsi non è un intervento, un 'azione e un ruolo attivo, bensì almeno due volontà in ciascuna di queste condizioni. A e B si incontrano in un punto C e, se vogliono incontrarsi, è necessario che sia A che B facciano la propria parte, ossia che si muovano, incomincino un percorso che inizi con lo sganciarsi da un punto di partenza. Poco importa che la strada sia suddivisa in modo equo e a volte può bastare addirittura soltanto l'intenzione, ammetto che fare le cose in concreto è molto più difficoltoso che il

Le parole sono fatte di aria

Ho immaginato una cosa innaturale e che riguarda l'aria. E' per questo che torno per un attimo al discorso di ieri sulla morte repentina di un uomo colpito da un proiettile al cuore. Ci torno e, per tornarci, è evidente che quel corpo sdraiato su un marciapiedi non mi apparteneva. Probabilmente non troppo convinto dalle mie stesse parole sull'inappellabilità della fine, ho pensato: se quella persona distesa in terra avesse un'ultima occasione di una boccata d'aria - non mi spingo a pretenderne addirittura un'ora, anche perché una fine, in teoria, è molto più definitiva e rapida di un ergastolo - che utilizzo farebbe di quest'ultimo, inatteso regalo? Se dovesse scegliere, quell'uomo più morto che vivo respirerebbe quell'ennesimo ossigeno, piovuto dal cielo come una manna, o lo spenderebbe in parole? Protendo per la seconda, volatile possibilità. Preferisco ipotizzare la scelta verbale. Mi piace immaginare un ultimo, estremo tentativo di difesa, ovviam

La fine di qualcosa

Non ci sono sfumature o gradazioni: la fine non è altro che un colpo di pistola sparato a bruciapelo contro il cuore. Non è nemmeno il colore del cielo che banalmente si spegne e neppure il semicerchio che il fiotto di sangue arterioso riesce inutilmente a compiere, soltanto perché ormai aveva già iniziato il suo viaggio, povero illuso che sperava di fare un giro intero anche questa volta. La fine riguarda anzitutto l'udito o, meglio, la sua improvvisa assenza. Certamente più alla portata dell'uomo, il suono, invece che la luce, scompare perché ha bisogno di una sua elaborazione. "Cosa è stato?": non riesce neanche a chiederselo chi è stato colpito dallo sparo, perché non ha tempo per farlo e perché è l'eco delle cose, più che le cose in sé, ciò che ci fa comprendere i fatti. Un'interpretazione necessariamente a posteriori, ma quando esiste una fine non esiste per definizione una posteriorità, ancora di più se tardiva. La fine non è altro che fine e l'uomo

Place du Carrousel

Place du Carrousel
 al tramonto di un bel giorno d’estate
 il sangue di un cavallo
 ferito e senza redini scorreva sul lastrico E il cavallo era la’ ritto immobile
 su tre piedi E l’altro piede ferito
 ferito e lacerato ciondolava. Proprio a fianco ritto immobile vi era anche il cocchiere e la carrozza anch’essa immobile inutile, come un orologio rotto. E il cavallo taceva il cavallo non si lagnava il cavallo non nitriva egli era la’
 aspettava
 ed era cosi’ bello, cosi’ triste, cosi’ semplice
 e cosi’ ragionevole che non era possibile trattenere le lacrime Oh giardini perduti
 fontane dimenticate
 praterie soleggiate oh dolore splendore e mistero dell’avversita’
 sangue e bagliori bellezza percossa Fraternita’ (Jacques Prévert)

Volere bene a se stessi

"Cerca di volerti bene". "Cerca di volertene anche tu". E' più o meno con queste parole - le ultime, le più edificanti - che ci siamo lasciati, se escludiamo i messaggi e il silenzio inutili, le parole straripanti o la loro totale assenza, che è infondo la stessa cosa e quindi la sostanza non cambia: il troppo e il nulla sono un po' come gli ultrasuoni, oltre una certa frequenza i rumori cessano di essere percepiti e davvero diventa difficile decidere se sia più silenziosa una voce assordante o il silenzio stesso. Che poi, non è vero che il silenzio non abbia voce e non risponda: anzi, lo fa e spesso, sebbene con parole udibili solamente da chi è in grado di capirle. E' mai possibile volere bene a se stessi se noi stessi non siamo propriamente isole abbandonate, ma come minimo degli arcipelaghi? Noi non siamo individui, ma mondi interi. Bella o brutta che sia, abbiamo una storia, delle relazioni più o meno articolate e rapporti felici o che ci fanno star

Alberi sotto la neve

Come rami sotto la neve gli occhi non sono che braccia tese al risveglio. Uno sguardo fuori dalla finestra il tempo di un respiro un sorriso che non è altro che acqua. (2012)