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Essere piccoli, sentirsi minuscoli


"Tutti i bambini crescono, tranne uno. Presto vengono a sapere che diventeranno grandi e Wendy lo venne a sapere in questo modo: un giorno, quando aveva due anni e giocava in giardino, colse un fiore e lo portò di corsa alla mamma. La bambina appariva così deliziosa, che la signora Darling si portò una mano al cuore e disse: - Oh, perchė non puoi restare così per sempre! -. L'argomento fu esaurito con queste parole, ma da quel momento Wendy seppe che sarebbe cresciuta. Dopo i due anni, tutti lo vengono a sapere. I due anni sono l'inizio della fine".
J. Matthew Barrie, Peter Pan, Rusconi Libri, 2010, p. 69.

Non c'è alcun problema nell'essere piccoli. Quando si hanno ancora pochi anni si accetta con disinteresse questa condizione. Non pesa il fatto di essere circondati da adulti: è la normalità a cui ci si è abituati ormai, una consuetudine iniziata fin dal primo giorno di vita. Non esistono confronti e i termini di paragone non sono mai sbilanciati, in favore degli altri. Non si pensa alla relatività della misura, ciò che è piccolo resta tale e così rimane quel che è grande. Termini inavvicinabili, la grandezza e la piccolezza, tanto sono fissi nella rigidità del loro rapporto. E tutto ciò non ha importanza, anche perché impariamo  molto presto che dovremo crescere.
I problemi sopraggiungono un giorno più in là, quando chi è ormai grande si sente ancora piccolo oppure inaspettatamente, nuovamente minuscolo. Uno gnomo, questa volta, di fronte alla normalità, nei confronti della quale l'abitudine si è perduta. Non c'è nulla di peggio che sentirsi impotenti, una volta divenuti adulti. 
Ecco perché crescere non significa diventare improvvisamente grandi, ma perdere giorno dopo giorno, anno dopo anno, quasi senza accorgercene, un pezzo di piccolezza, abbandonandola nel passato senza tuttavia dimenticarla. Diventare adulti, gradualmente, che termine orribile per chi a un certo punto della vita non sa più aspettare e vuole saltare, anziché procedere quasi a forza di inerzia, pazientemente verso il futuro che lo attende come un ladro nascosto nell'oscurità.
Ogni tanto, puntualmente, come in un gioco sadico del destino, ci si guarda alle spalle e si scopre che quel fosso saltato non c'è, e che invece è ancora davanti a noi, in agguato e ci aspetta, come una trappola nemmeno troppo celata, alla quale abbiamo perfino fatto l'abitudine. 
E si vorrebbe ridere, non certo per la contentezza, ma perché non possiamo fare a meno di riconoscere, in tutto ciò, quasi una strana, pazzesca ironia della sorte. 

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