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Visualizzazione dei post da aprile, 2010

Semplici riflessioni

Forse è bassa letteratura oppure sono semplici riflessioni dette ad alta voce da uno qualunque. Questo blog non è autorevole, né lo è il suo autore: qui c'è un diario, qualche opinione (non la Verità), nulla di scientifico. Insomma, prendete ciò che leggete per quel che sono: fatti e pensieri personali messi a vostra disposizione. Nient'altro che questo. Per esempio, Ciao papà , qui di sotto, come altri post, non è altro che l'occasione per riflettere sul male necessario e sulle medicine per vivere che fin da piccoli siamo costretti a ingoiare. E sull'accettazione della brutta realtà che subiamo già da bambini, ovvero fin dal momento della spensieratezza o del pensiero astratto, e che uomini e società adulte ci inculcano sin dai primi giorni di vita. Lo so che "è normale che questo accada", lo so che "così si cresce", lo so che "in tal modo si diventa uomini", come so, purtroppo, che cominciamo a divenire adulti sin dal primo vagito. Ma è p

Ciao papà

E' sempre una questione di contesti: Dodokko mi ha detto tante volte "ciao papà", ma sempre quando ci siamo rivisti dopo una separazione più o meno lunga. Mai prima di ieri, invece, lo aveva fatto in modo così esplicito: quando cioè l'ho accompagnato all'asilo e l'ho salutato come sempre e lui mi ha risposto, per l'appunto: "Ciao papà". Non so se sentirmi sollevato oppure dispiaciuto per un saluto dato nel momento in cui ci si accinge a separarsi e non dopo, quando invece ci si rincontra. Da una parte mi fa piacere che mio figlio accetti senza fare più drammi il fatto che ogni mattina ciascuno di noi debba prendere la propria strada. Dall'altra mi rendo conto di quanto, a neanche tre anni, sia costretto non solo a fare i conti con la realtà del distacco, ma addirittura con l'accettarla. Come se la separazione fosse un male inevitabile oppure una malattia incurabile, di cui siamo costretti a soffrire ogni giorno. In silenzio e con un sorri

Il 'Conflitto' della Badinter e il fallimento della donna-madre

Da un po' di tempo si parla molto dell'ultimo libro di Elisabeth Badinter Le conflit. La femme et la mère (Flammarion). A stupirmi non sono molto gli articoli, pubblicati sui quotidiani e sui blog, del saggio della filosofa femminista francese, ma i commenti di tante persone, così tante madri, schierate dalla parte dell'autrice. Quando ho letto le recensioni del libro sui vari mezzi di comunicazione in cui sono apparse, la prima idea che mi è balenata è stata di trovarmi di fronte a un tentativo, per altro ben riuscito stando alle vendite in Francia, da parte della Badinter di dire cose volutamente sovversive parlando di maternità da un punto di vista del tutto innaturale. In sintesi, mi è parso che, sedendosi al tavolino, la scrittrice abbia 'teorizzato' in maniera del tutto aprioristica una sua visione dell'argomento che non tiene conto di un fatto imprescindibile: che i due elementi del binomio 'donna-madre' non sono antitetici fra loro, ma complemen

Merda

Se la sintesi di tutto fosse racchiusa proprio in questa parola: merda? Pare che l'essenza del rapporto fra genitori e figli, degli uni verso gli altri e viceversa, in ogni senso lo si legga, sia esattamente quella di prendersi cura, prima o poi, della merda altrui . Almeno, stando agli ultimi due libri che ho letto, che a parte la merda, figurata o vera e propria che sia, hanno a che fare molto poco l'uno con l'altro. Si tratta de' La cena e di Patrimonio , rispettivamente di Herman Koch e di Philiph Roth. Non un gran che il primo, avendo deluso la mia aspettativa di trovarvi una sorta di dilemma sofocleo. Senz'alto migliore e, come sempre, fatto molto bene, quello dell'autore americano. Ma torniamo all'argomento di partenza, alla merda. Nel racconto dello scrittore olandese i genitori debbono togliere dai guai il figlio, responsabile, assieme al cugino, di un omicidio orrendo. E lo faranno proteggendolo in maniera certamente diseducativa (ma ciò non conta

Le orecchie

Ora non venitemi a dire che le orecchie non sono la cosa più importante quando si comunica con qualcuno. La bocca serve per parlare, questo si sa. Ma le orecchie sono fondamentali quando si vuole capire chi ancora non parla bene. Ieri ho rivisto alcuni filmati dell'anno scorso, quando Dodokko era più piccolo e si esprimeva ancora per mezzo di bisillabi. Diceva: "Do-do, la-la, qua-qua", eccetera, ma per me che lo ascoltavo le sue parole primitive contenevano dei significati e riuscivamo a comunicare e a capirci. Sentire oggi, a distanza di relativamente poco tempo, le sue frasi di allora e il suo linguaggio dimenticato mi ha fatto sentire come uno che ascolta una persona straniera parlare in una lingua sconosciuta. Paragonando le parole di quel tempo al modo in cui mio figlio parla oggi, mi sono domandato come facessi a capirlo. La risposta che ho trovato è racchiusa, appunto, nella storia delle orecchie. Quando si vuole comprendere qualcuno, quando si vuole intendere cosa

Piazza Navona

Che bella Roma stamattina e che meraviglia piazza Navona col ritorno della tramontana Non c'è nulla che stia fermo attorno alle statue della fontana E' tutto un gran fermento di voci E corpi che fluttuano in ogni direzione Un paesaggio disegnato dall'acqua e dal via vai continuo Fermi come in una fotografia soltanto i turisti che mangiano la pizza sulle panchine di marmo I loro figli masticano e sembrano sorridere davanti al sole. (2010)

Treni

Treni Ho cenato con qualcuno ho riempito un po' il tempo tappato qualche buco Per un istante ho lasciato scivolarmi addosso i pensieri Poi ho digerito la cena e ho ricominciato il giro Prendendo autobus e treni che invece di andare avanti fanno sempre lo stesso percorso Come al solito rimango fermo al punto di partenza Alla stazione di origine con cui ogni giorno di più la mia destinazione coincide Vado da qualche parte e ritorno indietro L'unica cosa che cambia è che ho mani sempre più vuote e sono sempre più stanco Quando prende il treno mio figlio ignora dove stia andando Ma il suo viaggio è appena all'inizio e ogni collina ogni casa sono una scoperta dell'America Si riempie stomaco e occhi con qualsiasi oggetto veda Mangia con appetito una cena non precotta I suoi binari viaggiano uniti A senso unico. (2010)

La partita di pallone

Un pallone che rimbalza sull'asfalto di un marciapiede: è questa la macchina del tempo con cui, l'altro giorno, ho compiuto uno dei miei soliti viaggi nel passato. Seduto su una panchina durante la pausa pranzo, osservo il bambino di otto anni che tira calci a una palla contro un muro. Ripercorro all'indietro tutti i miei anni fino a ritrovare me stesso a quell'età: sullo slargo di fronte la mia scuola elementare, il pallone che rimbalza dalla facciata arancione dell'edificio alla macchina parcheggiata lì davanti. Sudato come soltanto i bambini sono capaci di essere, le guance arrossate e la pelle già rinfrescata dal vento, vestiti e capelli bagnati, a ogni tiro un sogno: il gol del campione, il calcio imparabile perfino per il portiere più bravo del mondo. Il pallone arriva ai miei piedi, mi alzo dalla panchina e comincio a giocare a calcio con quel bambino sconosciuto ma che in realtà so di conoscere bene. Gli rilancio la palla con movimenti, a dire il vero, un po

Ottimismi

Esistono almeno due tipi di ottimismo. Uno è il mio: un ottimismo consapevole, che non si scompone troppo di fronte agli avvenimenti e al loro esito. So che una cosa può andare bene o che può andare storta, ne conosco le conseguenze e, in qualche modo, cerco di accettarle anche se non dovessero essere gradite. Lo so: un tale modo di ragionare assomiglia di più alla rassegnazione che all'ottimismo, ma io voglio chiamarlo lo stesso ottimismo, perché in genere preferisco restare con i piedi per terra e non amo volare alto con la fantasia. Il mio è un ottimismo concreto, di chi conosce il duplice risvolto della realtà o, meglio, delle possibilità di essa, di chi non vuole allontanarsi dal mondo per vivere in un universo onirico. Un altro tipo di ottimismo è quello assoluto, ingenuo e straordinario di mio figlio. Un ottimismo meraviglioso e pieno di belle possibilità, di cui gli adulti non sono più capaci e che, in questi giorni sempre più spesso, Dodokko mi annuncia con questo inizio d

Onnipotenza

Vorreste voi essere dotati del potere di salvare il mondo o, più modestamente, di salvare qualcuno che, in grande difficoltà, si appella unicamente al vostro buon cuore, come se soltanto voi, gli unici ormai sulla terra, potreste risollevarlo dalla sua sciagurata sorte? Non so: uno che ha fatto bancarotta e che vi chiede un milione o uno che è stato tradito dalla compagna e vi prega di convincerlo che lei lo ama ancora. Oppure, uno che ha perso qualcun altro e vi prega di restituirglielo o uno che ha smarrito il cane e vi chiede di riportarglielo. Insomma, vorreste voi possedere la formula magica per regalare a uno qualsiasi quel milione o per convincerlo che l'amata lo ricambia con lo stesso sentimento o per far ritornare qualcuno o per restituire immediatamente ciò che si è perso? Ebbene, fateci caso: questa forza ce l'avete. Tenete la mano di vostro figlio, se vi chiede di farlo, come ha fatto con me Dodokko ieri sera, dopo mezz'ora passata a rigirarsi nel letto senza ri