Passa ai contenuti principali

Il 'Conflitto' della Badinter e il fallimento della donna-madre



Da un po' di tempo si parla molto dell'ultimo libro di Elisabeth Badinter Le conflit. La femme et la mère (Flammarion). A stupirmi non sono molto gli articoli, pubblicati sui quotidiani e sui blog, del saggio della filosofa femminista francese, ma i commenti di tante persone, così tante madri, schierate dalla parte dell'autrice. Quando ho letto le recensioni del libro sui vari mezzi di comunicazione in cui sono apparse, la prima idea che mi è balenata è stata di trovarmi di fronte a un tentativo, per altro ben riuscito stando alle vendite in Francia, da parte della Badinter di dire cose volutamente sovversive parlando di maternità da un punto di vista del tutto innaturale. In sintesi, mi è parso che, sedendosi al tavolino, la scrittrice abbia 'teorizzato' in maniera del tutto aprioristica una sua visione dell'argomento che non tiene conto di un fatto imprescindibile: che i due elementi del binomio 'donna-madre' non sono antitetici fra loro, ma complementari nel senso stretto del termine, dove la parola madre completa (eventualmente) la parola donna.

Se poi, in questa società 'moderna' in cui viviamo, la donna non ritiene (e ha tutto il diritto di farlo) di realizzarsi (o completarsi) nella maternità, ma in altri ambiti, possiamo fare anche un ragionamento meramente logico sul binomio donna-madre. La donna-madre è donna in generale e madre in particolare (cioè rispetto al figlio), così come la donna-lavoratrice è sempre donna in generale e lavoratrice in particolare (rispetto al lavoro). Di esempi se ne potrebbero fare altri mille, ma ciò che deve essere chiaro, ancora una volta, è che 'donna' e 'madre' non sono termini contrapposti. Semmai, il secondo esprime una condizione del primo, senza necessariamente escluderlo.

Al di là delle analisi, ora voglio dire cosa penso io della faccenda. E cioè che abbiamo raggiunto un livello di ignoranza senza precedenti nella storia dell'umanità: un'ignoranza che imputo anche alla filosofa. Un'ignoranza che non ha a che fare con quanto si conosce, con quanti libri si sono letti e quanti se ne sono scritti, ma con le nostre coscienze. Ma è davvero possibile credere di poter razionalizzare la realtà e pensare che la natura sia un'emanazione della ragione e non viceversa? Per la Badinter, i figli - lo dice senza mezzi termini - sono una schiavitù e sono all'origine della mancata realizzazione della donna all'interno della società: da qui il titolo del suo libro 'Il conflitto' e il dilemma che ne scaturirebbe fra essere donna oppure madre. Ove, nell'accezione di donna sarebbero comprese tutte le forme di realizzazione culturali, professionali ed economiche possibili, mentre il termine madre, evidentemente molto più limitativo, conterrebbe la causa nefasta della mancata realizzazione della prima. Ma veramente - mi chiedo - dobbiamo dare la colpa dei nostri fallimenti personali, sociali e lavorativi ai nostri bambini? Una volta le femministe lottavano per una società diversa, perché fosse riconosciuto il ruolo della donna al suo interno, per la parità dei diritti con l'uomo. Oggi, mi sembra, le femministe non sanno più con chi prendersela. Oppure lo sanno: con i figli.

La realizzazione di ognuno di noi non può essere forzata, non può mai, ripeto, mai, partire da un'idea razionale, così come sembra voler dire la Badinter. La nostra realizzazione, il nostro completamento passa attraverso la nostra natura. Diverremo noi stessi solamente quando ci saremo trasformati in ciò che già siamo in nuce. Così come fa la quercia, che diventa l'albero bello e forte che conosciamo soltanto quando la ghianda riceve la giusta dose di acqua e di luce e quando si pianta nel terreno più adatto. Eccola la vera idea della quercia: la sua ghianda e le giuste condizioni per crescere. E' l'idea della natura delle cose: le cose che hanno la possibilità di esistere semplicemente grazie al fatto che riproducono se stesse infinite volte.

Infine, allo stesso modo in cui la quercia mai e poi mai penserebbe di essere in conflitto con la sua ghianda, la donna non dovrebbe sentirsi in conflitto con la propria natura di madre. Sempre, ovviamente, che la maternità faccia parte della sua natura di donna. Perché? Semplice: perché il figlio per la donna, così come la ghianda per la quercia, è se stessa, sono la donna e la quercia stessa. Madre e figlio sono le facce della stessa medaglia. Tante volte quanto questo sarà possibile, tante volte finché, anche qui, non ci metteremo mano noi, proprio come fa la Badinter, con la nostra testa e con la nostra folle volontà di razionalizzare la natura.

Commenti

  1. Premessa: non ho letto il libro della Badinter e non credo che lo leggerò. Sono più felice sulle nuvole di una autobiografia di Jodorowski piuttosto che su tali pachidermi sociali.

    Però un commentino mi viene da farlo, riguardo al conflitto con la propria ghianda. Da quando è nato mio figlio, nolente o volente, che sia vicino o lontano fisicamente, lui, come essere umano ma anche come "mio figlio" con tutte le sue associazioni simboliche, è sempre la mia prima priorità assoluta. Non sono più un individuo indipendente e cosidettamente libero.

    Non riesco a spiegarlo bene a parole, ma mentre prima mi sentivo donna come entità singola, questa concezione ormai fa parte del mio passato. Invece mamma, di ruolo e di riferimento, rimarrò per il resto della mia vita. E' una questione esistenziale ed emotiva che va oltre le logiche; quella libertà che avevo dentro prima, di essere o fare o cambiare quello che volevo, ora per me non c'è più.

    RispondiElimina
  2. Ciao Velia.
    Dici che da quando è nato tuo figlio non ti senti più un individuo libero e indipendente. Credo che ciò sia normale quando si ha un senso di responsabilità verso qualcuno o qualcosa. Ma anche chi non fa figli - direi - e si concentra su altri tipi di soddisfazione, come quella professionale, non è libero e indipendente.
    Per la Badinter invece, è soltanto la maternità a limitare la donna, in quanto per lei la vera soddisfazione è nel mondo del lavoro e anzitutto legata all'indipendenza economica della donna. Di qui consegue, per la filosofa, una serie di azioni da intraprendere per restare donne libere: prima fra tutte la scelta di essere 'childfree', letteralmente 'liberi dai bambini' (cioè non farne assolutamente e al limite - ma la scrittrice questo non lo dice - estinguersi) e, se proprio non ci si riesce (magari a causa di un incidente di percorso), mettere in atto alcune strategie al fine di limitare la schiavitù dai figli. Ad esempio, non perdere tempo allattando al seno (le formule in commercio sono ampiamente sostitutive del latte materno!) e magari delegare il più possibile a una babysitter o al nido fin dai primissimi mesi del neonato.
    Il tutto per concentrarsi sulle famose soddisfazioni lavorative ed economiche e sulla realizzazione di sé.
    A presto, Cristiano

    RispondiElimina
  3. "Oggi, mi sembra, le femministe non sanno più con chi prendersela. Oppure lo sanno: con i figli"

    A parte la banalità di questa frase che hai scritto su facebook, se non fosse stato per le femministe, tu saresti un disadattato non conforme alla società. Quindi le femministe magari ringraziale: hanno lottato per cambiare molte brutture sociali, e hanno lottato anche per te, a quanto pare.
    Per quanto riguarda le correnti femministe odierne, per fortuna ce ne sono molte e molto varie. Certo che se ti guardi intorno, qui in Italia, viene da pensare che la teoria dell'autrice che commenti non è forse tanto assurda. Qui da noi nascono pochissimi bambini e l'occupazione femminile è ai minimi, rispetto agli altri paesi sviluppati. Queste due cose sono strettamente collegate, come hanno dimostrato femministe e uomini di buona volontà. Ma fino a quando si cercherà solo di demonizzare il femminismo si otterrà solo misoginia gratuita. Da cui ci difenderemo evitando indovina che?

    RispondiElimina
  4. Cara Gis, ovviamente non ce l'ho affatto con le femministe in generale e, se il post lo hai letto attentamente, dovresti aver capito quale è l'oggetto della mia critica: ovvero, una nota femminista come la Badinter, solamente lei e non le altre, la quale, con la sua opzione, conflittuale a partire fin dal titolo del suo libro "o donna o madre", mi ha fatto un po' pensare. E ho semplicemente pensato e scritto che essere madre non significa annullare il fatto di essere donna. Così come succede con l'essere lavoratrice oppure artista, ecc. ecc. A tal proposito, ti dirò di più: ossia che anche io, da padre, non mi sento sminuito nella mia natura di uomo. Secondo te, immagino, dovrei invece sentirmi una nullità di uomo, dato che sono padre, o sbaglio? Io sono per la parità, è vero, non ancora raggiunta e questo mi sembra che lo abbia anche fatto intendere. Ciò che invece mi trova in disaccordo è un tipo di femminismo che afferma che se la donna è madre è un essere inferiore, che se allatta perde il suo tempo, che la sua realizzazione passa solamente dal lavoro e dall'affermazione nella società. Un tipo di affermazione che, per la Badinter, è prima di tutto economica. Ecco: su questo non sono d'accordo perché mi piacerebbe si lasciasse a ciascuna donna, ma anche a ciascun uomo, il diritto di dire ciò che personalmente la renderebbe soddisfatta. Se il lavoro o la famiglia, se i soldi o il potere, e via dicendo. Invece la Badinter, e probabilmente anche tu, nel nome del femminismo, non lasciate alla donna questa possibilità si scelta.
    Un saluto e piacere di averti conosciuta, Cristiano

    RispondiElimina
  5. La scelta di cui parli tu è pura ipocrisia, non esiste affatto. Le donne in italia lavorano poco e fanno pochi figli non per scelta, ma perché la società è ottusa.

    Da moltissime indagini risulta che le donne vorrebbero tutt'e due le cose: fare figli e non per questo essere penalizzate sul lavoro, come ormai è assodato nel mondo evoluto e civile. Ma qui è chiedere troppo: ci si dovrebbe accontentare di continuare ad allattare per forza, facendo finta che sia una scelta.

    Che la donna-madre diventa una minus abens non lo dicono le femministe (come ti sei inventato) ma lo afferma la società nei fatti, mettendole fuori la porta, costringendole alla dipendenza economica. Quella stessa società che a parole glorifica il corpo femminile e il suo potenziale riproduttivo, poi però non fa lavorare le donne perché ritiene non siano affidabili, perché i figli si ammalano, perché non sopportano le riunioni fino alle 11 in cui non si dice proprio nulla. Ecco perché si parla di conflitto (o madre o donna): perché nei fatti è così, non perché ci piace che sia così, o perché vorremmo che fosse così. Ripeto: purtroppo è così, punto.

    Il diritto di scegliere che reclami in realtà è un obbligo: se fai un figlio stai a casa. D'altronde mi pare che tu, guarda un po', non hai scelto di non sapere come sfamare tuo figlio non andando a lavorare. Semplicemente è ingiusto fare dei figli se poi non si sa con quali risorse allevarli, no?

    Però a te nessuno rinfaccia di voler lavorare a tutti i costi. A una mamma sì. Ti dicono che è giusto stare a casa. E che anzi se non ci stai sei una stronza. Agli uomini invece no. Questo almeno nella provinciale e ottusa mentalità italiana.

    Se le regole del gioco sono queste, non ci vedo niente di assurdo se in nome di quella libertà che falsamente invochi, qualcuna decide che non può allattare.

    Finché la società continuerà ad essere maschilista, le donne si difenderanno non facendo figli.

    Le ragioni sono tantissime, accenno alla principale: al giorno d'oggi non si vive senza stipendio. Moltissime italiane, credo, non se la sentono di sacrificare non la carriera (che per una uomo è cosa buona e giusta, per la donna è una roba da egoiste, giusto?), ma la serenità di avere di che pagare l'affitto tutti i mesi.

    Ripeto: non è nemmeno questione di realizzazione e aspirazioni (accettabili per un uomo ma non per una donna, eh?), ma proprio di vita quotidiana, sussistenza e tranquillità.

    Purtroppo la maggior parte delle persone non può permettersi di snobbare le questioni economiche, semplicemente perché non sono ricche di famiglia e devono lavorare per mantenersi. Se una donna deve rinunciare ad avere di che pagare le sue spese per fare dei figli, beh, lo ripeto, il risultato ce l'hai sotto gli occhi, se solo ti decidessi ad aprirli.

    Non interpretare il mio pensiero, perché non lo conosci. Dire che un padre non è un uomo è un'idiozia che non puoi mettermi in bocca: hai capito molto male. Quello che dici mi sembra contraddittorio e rabberciato. Ti sforzi di tenere insieme la "promozione" del nuovo ruolo paterno (da cui sono molto incuriosita) e la demonizzazione del movimento che ha permesso di esprimere anche te, nella tua sensibilità così diversa rispetto agli standard tradizionali.

    RispondiElimina
  6. Ciao Gis, la scelta di cui parlo io (e la Badinter) è fra essere donna oppure madre. Non parlo delle altre scelte di cui hai accennato ampiamente tu. La filosofa dice che questa scelta è conflittuale. Io non sono d'accordo e questo, solo questo, è il tema della discussione. Tu, invece, fai un lungo excursus su altri argomenti, anche interessanti e sui quali mi trovo d'accordo, ma che non c'entrano niente con ciò di cui sto parlando. Per cui ti chiederei di limitarti a commentare ciò che ho scritto e soprattutto di farlo con un tono un po' più gentile, anche se eventualmente dovessi aver offeso la tua sensibilità. Mi dispiace se ciò è avvenuto e ti chiedo scusa. Se ti va, puoi rispondere brevemente alla domanda di partenza, ossia, se secondo te, essere madre esclude il fatto di esser donna. Ovvero, se essere lavoratrice e ottenere un ruolo sociale ed economico importante nella società ti fa sentire di più una donna. Da parte mia ho già risposto che ciò dipende dalla donna stessa, da ciò che soggettivamente più la appaga e soddisfa. Se è la maternità, essa si sentirà donna come madre, se è il lavoro si sentirà donna come lavoratrice che avrà raggiunto certi risultati, e via dicendo.
    Ancora un saluto, Cristiano

    RispondiElimina
  7. Non ho letto direttamente il libro della Banditer, ma non ci credo che sostenga una tale banalità. A leggerne però sui giornali, mi sembra molto più probabile che sia stata distorta perché così fa comodo per demonizzare il femmnismo in toto. E molto più probabile che la questione posta dalla Banditer sia empirica: se fai figli sei tagliata fuori. Allora se vuoi essere libera (non dipendere da nessuno che ti mantenga) devi fare una scelta: o ti riproduci e ti fai mantenere, o lavori e non ti riproduci. Fin quando non ammettete questa crudele ingiustizia, continueranno a nascere pochi figli. E che in Intalia abbiamo il primato delle culle vuote è dovuto proprio a questa mentalità crudele e idiota.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Risultava tristemente evidente che lei non avesse letto il libro. L'analisi è meravigliosamente complessa e non riducibile alle banalità che lei enuncia. Ma come si fa a sparare giudizi su qualcosa che non si è neppure letto?

      Elimina
    2. Avevo premesso di non averlo ancora letto ma subito dopo l'ho fatto e ne ho scritto ancora, successivamente, in questo stesso blog, cerchi pure dato che l'argomento le interessa. La mia interpretazione e critica, mi spiace, nel frattempo non è cambiata ma è ancora lì, nella scelta di fronte alla quale la Badinter pone la donna, ovvero se essere tale oppure madre, laddove l'una scelta escluderebbe l'altra. Il che mi sembra ancora, a tutt'oggi, assurdo.
      Ps. Si presenti la prossima volta

      Elimina
  8. E' triste estinguersi, sia per un uomo che per una donna.La sfera affettiva, la creazione di rapporti intimi nell'ambito della famiglia, pur problematica e non paradisiaca, è importante e la sua assenza finisce sempre per dovere essere, sia pure inconsapevolmente, compensata. Ma anche l'attività lavorativa contribuisce alla soddisfazione , non solo economica, della persona. Che la questione sia più forte per la donna, dipende anche dal passaggio da un'organizzazione sociale in cui la donna moglie-madre era riconosciuta come "creatrice" e "attiva" a una società in cui la donna ha cercato uleriori forme di creatività e attività. Tutto questo ha creato conflitti esterni e interni. Conosco, comunque, donne che hanno fatto figli ( insieme agli uomini) e hanno anche lavorato (insieme agli uomini) e che non hanno rinunciato, sempre senza pretendere l'assoluto, nè ad essere madri nè ad essere lavoratrici. Conosco donne che non hanno avuto figli ma si sono "realizzate"nel lavoro e nella sfera affettiva. E così via.Che ci siano discriminazioni, questo è vero. E' un residuo del passato. Ingiusto.

    RispondiElimina
  9. Ovviamente sono d'accordo con quel che dici: a ciascuno di noi, uomini o donne, le proprie soddisfazioni. Un benvenuto a quelle culturali, professionali o genitoriali, ognuno persegua quelle che sente come più vicine e speriamo in un futuro sempre più con meno discriminazioni e con maggiore libertà di scelta per tutti.

    RispondiElimina
  10. brava gis! sei lucida giusta intelligente e non abbassi la testa davanti a nessuna delle solite ipocrisie-manipolazioni-subdoli attacchi misogini mascherati da zuccheroso nonche' finto "paritarismo".
    concordo con te COMPLETAMENTE su tutto.
    sono una madre che e' quasi impazzita x cercare di tenere in piedi i 2 "ruoli", per non morire intellettualmente e per guadagnare dei soldi. si', la maternita' e' una schiavitu'. non dovrebbe esserlo ma LO E' poiche' nella ns societa' arcaico-maschilista il peso il TEMPO e la fatica dell'allevare un figlio sono 24/24 sulle spalle delle donne. ciao gis!!!

    RispondiElimina

Posta un commento

Post popolari in questo blog

La partita sul terrazzo

Il muretto sarà alto un metro e mezzo al massimo. È per questo che il pallone con cui giochiamo a calcio sul terrazzo è sgonfio. Perché non rimbalzi troppo, con il rischio che vada a finire di sotto e colpisca qualcuno di passaggio. È pur vero che di persone ne passano poche sotto casa in questi giorni e comunque è capitato, alcune volte, che la palla finisse in strada. È andata sempre bene, per fortuna. Il pallone che usiamo per giocare sul terrazzo non lo abbiamo sgonfiato apposta. È bucato. Lo aveva morso il nostro cane Spot a Villa Borghese, qualche tempo prima che ci chiudessero tutti in casa. Non so perché non lo avessimo buttato via subito, quel giorno. Adesso in ogni caso ci serve, per il motivo che ho detto.  Il terrazzo non lo abbiamo mai frequentato prima del coronavirus, i miei figli non c'erano mai stati. È uno di quei posti che appartengono a tutti i condòmini e che, proprio per questo motivo, non sono di nessuno, perché nessuno ha bisogno di andarci e tutti vog

Coronavirus: il lockdown e le ripercussioni sui figli minori dei genitori separati

Intervista all’avvocato Antonella Laganella, giudice onorario Corte d’Appello di Campobasso, sezione minori Riaprire o lasciare tutto ancora chiuso, ripartire insieme oppure a due o a tre velocità: mentre si discute sulle modalità di allentamento del lockdown e su come gestire la Fase-2 nell’ottica di un ritorno graduale alla normalità dopo l’epidemia, diventano sempre più problematici, a causa delle limitazioni agli spostamenti per contenere l’epidemia da coronavirus, i rapporti fra figli minori e i genitori non collocatari all’interno delle famiglie con coniugi separati. Ne parla all‘Adnkronos l’avvocato Antonella Laganella, giudice onorario della Corte d’Appello di Campobasso, sezione minori, che sottolinea quanto le misure urgenti adottate dal Governo abbiano inciso sui rapporti fra figli e genitori non collocatari. "Le conflittualità tra ex coniugi si sono intensificate - spiega l’avvocato Laganella - di pari passo con la crescente incertezza sull’interpretazione d

Quando siamo costretti ad ascoltare un racconto sbagliato

Una delle peggiori forme di violenza che può capitarci di subire è il racconto sbagliato di ciò che ci accade. Trovo delittuoso - non ho altri termini per definire qualsiasi tentativo di mistificazione - il voler far passare una cosa per un'altra, appositamente, come se fossi tu a non capire e a non renderti conto di ciò che hai intorno: essere trattato, in una parola, come uno scemo. Sono incapace di tollerare che si scambi la verità con la finzione, non riesco a concepire la possibilità di intercambiabilità dell'una con l'altra, con la prima che diventi falsità e la seconda assurga a Verbo e a voce di Dio o, più semplicemente, a resoconto puntuale. Eppure, sono molti a credere alle chiacchiere, a farsi soggiogare più dal suono delle parole, che ad ascoltarle criticamente, cercando di coglierne il significato. La voce, spesso, ha più peso della sostanza che una frase esprime: siamo più ascoltatori di suoni che di significati. E chi parla, spesso, si sente e si pone su