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Visualizzazione dei post da maggio, 2011

BabyNes. What else?

"What else?", domanda in maniera retorica George Clooney al termine degli spot per il Nespresso. Già, che altro? La capsula con dentro il caffé e la macchina che eroga un espresso buono come quello del bar è una trovata geniale. E' la Risposta, con la erre maiuscola, ma non l'ultima: adesso infatti la Nestlè ha lanciato - per il momento soltanto in Svizzera, ma presto sarà commercializzato in tutto l'universo dei lattanti - 'BabyNes', ovvero il sistema Nespresso applicato al biberon per i bambini dagli zero ai tre anni di età. L'allattamento, dunque, sotto forma di capsule contenenti la formula artificiale predosata e una macchina che ne versa il contenuto, miscelato con acqua riscaldata alla giusta temperatura, direttamente nel poppatoio.  Il tutto pronto in un minuto: what else? Niente, che dovrei dire? Mi piacciono gli oggetti che semplificano la vita e che fanno tutto in maniera pulita, senza lasciare residui, e nel più breve tempo possibile. Inolt

Non siamo ciò che diciamo

Forniscono risposte tempestive alle domande che ti fai in un momento preciso della tua esistenza: per me è questo l'aspetto miracoloso dei libri. E' come se sapessero per tempo che problema ti affligge, lo prendessero in esame e a volte proponessero una soluzione. E' straordinario quanto sia stato ricorrente, per quel che mi riguarda, 'l'intervento' dei libri nella diverse situazioni della vita in cui mi sono imbattuto mentalmente.  Quando si legge e si segue una storia, il coinvolgimento del lettore a livello inconscio è talmente profondo da far sì che diventino sue le problematiche, universali, che i personaggi del racconto incontrano. Il rapporto fra chi legge e il testo è così intenso da assomigliare a una seduta psicanalitica nella quale emergono, nei diversi raffronti con le righe, parallelismi con la propria vita che finiscono per diventare immedesimazioni, nella migliore delle ipotesi, se non addirittura scambi temporanei di identità: ciò che leggiamo è

Quando sono nati i miei figli

Credo di non aver mai avuto un grande talento immaginativo. Il mio è sempre stato un tipo di fantasia molto attinente alla realtà. Una capacità di astrazione con i piedi per terrà - se così può essere definita la mia maniera di creare mondi paralleli a quello in cui viviamo. Un palloncino gonfiato con un gas più leggero dell'ossigeno, e che per questo tende a volare via, trattenuto da una cordicella legata al polso di un bambino. I miei sentimenti assomigliano al modo che ho di immaginare: non solo tendo a 'realizzarli' con gesti pratici quando voglio comunicarli, ma anche li 'sento' in modo fisico, con le orecchie e con il corpo - non con la mente o con il cuore - quando provo qualcosa per qualcuno. Non assomiglio al poeta isolato dal mondo, il quale, chiuso nella sua torre e dall'alto di quella, 'avverte' sulle proprie spalle la sofferenza dell'universo e subito dopo la detta alla tastiera di un computer. No: io il 'sentimento' lo sento ass

Come dici a tuo figlio che lo ami?

Mi fa proprio questa domanda secca la mia amica Ella, di punto in bianco mentre siamo intenti a discutere di tutt'altre cose: "Come dici a tuo figlio che lo ami?". Non è una cosa semplice rispondere e prima di farlo prendo tempo, tiro il fiato - Ella intanto copre questa mia pausa con nuove parole -, metto ordine ai miei pensieri, penso alla frase che uscirà dalla mia bocca ancor prima di pronunciarla. Poi, nella frazione di secondo in cui torna il silenzio, le dico: "Ascoltandolo, standogli vicino, cercando di capirlo". E' scontato, per me: a volte anch'io dico espressamente a Dodokko che gli voglio bene e anche lui lo dice a me. Ma quando lo faccio mi accorgo di quanto le parole siano insufficienti a esprimere un sentimento simile. Sento invece di amarlo e di comunicarglielo, ancora più direttamente che con la parola, quando vivo assieme a lui un suo stesso stato d'animo, quando riesco a essere 'simpatico' con lui, nel senso stretto del ter

Senza barriere di corpi

E' un po' di tempo che rifletto sui limiti umani nell'esprimere i sentimenti. I miei pensieri seguono la scia di quanto detto pochi giorni fa a proposito dell'amore che si sente e che si dice ai figli. Mi rendo conto di quanto non solo le parole siano insufficienti a comunicare ciò che si prova, ma anche dell'abisso che spesso esiste fra un comportamento e la sua ragione, una manifestazione esteriore e il motivo che la detta. Così come ogni forma di espressione è limitata rispetto al pensiero e ne costituisce una strettoia più o meno ampia o chiusa, a seconda dei punti di vista, allo stesso modo qualsiasi comportamento non è che una facciata, il volto sbiadito e inattendibile di ciò che abbiamo dentro: la nostra personalità, i nostri sentimenti, il nostro umore del momento. Eppure, i nostri giudizi li formuliamo continuamente e inevitabilmente sulla base di queste apparenze, sulle forme e non sulla sostanza, su ciò che è immediatamente visibile. Raramente andiamo al

Perfino i secondi non sono tutti uguali

Credo di avere almeno dieci orologi a casa: uno è su una parete della cucina e gli ho cambiato la pila due giorni fa. Un altro è sul mio comodino ed è una sveglia che non va a batterie ma a corrente domestica. Nel cassetto dello stesso comodino c'è un orologio con la carica esaurita e un'altra sveglia senza più neanche quella: sono oggetti morti e fortunati, le cui lancette hanno smesso di girare parecchi anni fa e che non tracciano più lo scorrere del tempo. C'è anche un orologio a forma di Re Leone su uno scaffale della libreria di Dodokko, al quale ancora non abbiamo inserito l'alimentazione. Così come c'è un orologio, funzionante, nella libreria del salotto: un oggetto precisissimo, che non resta mai indietro di un secondo, ma che spesso scompare dalla vista, finendo dietro un libro o in fondo allo scaffale, da dove è impossibile raggiungerlo con lo sguardo. Un orologio è poi sul timer del lettore di cd, così come ce n'è uno sullo schermo del telefonino e su

Uova di Pasqua

Il fiume è già mare, ancor prima di gettarsi nell'oceano e disperdersi.  Ciò che poco fa era soltanto pensiero e se ne restava lì, nascosto nell'elaborazione di sé, ha preso forma e ora ha una voce per esprimersi. Un voce che spesso suona come una promessa, smentendoci quando ci aspettiamo qualcosa di cattivo, ma che a volte è capace di tuonare come una condanna, disilludendoci puntualmente quando siamo ottimisti.  Come tutto sarebbe molto più semplice e accettabile, se non avessimo questa abitudine sbagliata di fare pronostici. Avere delle aspettative, rispetto ai figli, è una cosa normale, ma non dovremmo mai dimenticare che in fin dei conti la loro vita se la scelgono da soli - che tu lo voglia oppure no - fin da quando sono piccolissimi.  Il fiume è già mare, ancor prima di gettarsi nell'oceano e disperdersi. Così come un seme è già l'albero che sarà, indipendentemente dalla terra buona nella quale affonderà le radici e dall'acqua limpida che lo disseterà. Davve