Mi fa proprio questa domanda secca la mia amica Ella, di punto in bianco mentre siamo intenti a discutere di tutt'altre cose: "Come dici a tuo figlio che lo ami?". Non è una cosa semplice rispondere e prima di farlo prendo tempo, tiro il fiato - Ella intanto copre questa mia pausa con nuove parole -, metto ordine ai miei pensieri, penso alla frase che uscirà dalla mia bocca ancor prima di pronunciarla. Poi, nella frazione di secondo in cui torna il silenzio, le dico: "Ascoltandolo, standogli vicino, cercando di capirlo".
E' scontato, per me: a volte anch'io dico espressamente a Dodokko che gli voglio bene e anche lui lo dice a me. Ma quando lo faccio mi accorgo di quanto le parole siano insufficienti a esprimere un sentimento simile. Sento invece di amarlo e di comunicarglielo, ancora più direttamente che con la parola, quando vivo assieme a lui un suo stesso stato d'animo, quando riesco a essere 'simpatico' con lui, nel senso stretto del termine, ovvero di provare una stessa emozione.
Ho sempre creduto che l'amore debba essere manifestato concretamente e che si debba esprimerlo attraverso gesti quotidiani. Un amore non espresso con le azioni è un sentimento vuoto, teorico, senza alcuna utilità pratica. Detesto gli idealisti dell'amore, quelli che dicono di amare ma che sono incapaci di dare un minimo segnale d'amore. Penso invece che stare vicini a una persona, condividere il medesimo sentimento, sia l'espressione più realistica dell'amore.
Gesti quotidiani - ho detto - ma esistono giorni in cui la quotidianità ha il sopravvento sui sentimenti: è il mio limite, che fa parte dell'esistenza immersa inevitabilmente nella contingenza. Ma si tratta anche di grandi occasioni perdute per sempre. Assenze inspiegabili, ingiustificabili agli occhi di un bambino.
ma è bellissimo quello che dici. mi ci ritrovo pienamente: quando lo dico chiamamente (vi amo bimbe!), quando lo dico attraverso i piccoli gesti quotidiani (ci sono, non siete sole!), quando non lo dico e perdo l'occasione per sempre. davvero bello.
RispondiEliminaE' il livello massimo di vicinanza che si può raggiungere con un bimbo la "simpatia" di cui parli, Cristiano, e quando la si vive si sperimenta una pienezza di senso della vita che penso sia essenziale per un bambino. Però secondo me il genitore ha la possibilità di dire "bimbo mio ti amo" anche e soprattutto assumendosi la responsabilità, nella vita quotidiana, come dici tu, di "orientare" i sentimenti del figlio sui toni positivi, di fargli provare gioia, per capirci. Loro non hanno la minima idea di chi siano e del perchè sono, hanno solo bisogno di non porsi troppo presto questo genere di domande. Se sono felici, di massima, non lo faranno perché troppo impegnati a stare bene. Naturalmente (nel senso scientifico del termine) anche questa attività ha i suoi limiti. Perché l'amore nulla può contro la vita che, del resto, è fatta anche di cose inspiegabili e ingiustificabili. E quando fallisco mi dico sempre che, purtroppo, anche questo serve loro. Preferirei lo facesse qualcun altro al posto mio, preferirei essere lontano mille miglia, e invece mi tocca stare lì al peggio di me stessa. E lì si che è difficile. Ma sono limiti naturali.
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