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Visualizzazione dei post da dicembre, 2010

Da figlio a fratello

La rivoluzione avviene nella maniera più rapida e meno indolore possibile: nonostante ogni accortezza, tutte le rassicurazioni del caso e la preparazione 'psicologica' che ha preceduto il momento fatidico, il fratello è piombato in casa senza bussare, con la sua culla, i suoi pianti, le poppate e le veglie notturne. E Dodokko si è ritrovato, da un giorno all'altro, a essere, nella sua percezione, sempre meno un figlio e sempre più un fratello. Un processo che i genitori non avvertono nella sua velocità altissima, ma che di fatto è tale nella realtà e nella mente del primogenito, molto più sensibile nel cogliere certi mutamenti radicali.   Dunque, il passaggio netto da figlio a fratello, il tentativo di mamma e papà, fallito fin da subito, di rallentarne gli effetti traumatici e tutto il carico di conseguenze di una trasformazione necessaria: niente più figlio in esclusiva, mai più centro d'ogni attenzione e, soprattutto, genitori e punti di riferimento condivisi con qua

Piccolo il mondo visto con i miei occhi

Con i miei occhi nuovi vedo soltanto una parte del mondo che mi gira intorno: un mondo grande e un mondo piccolo, perché io stesso sono piccolo. Ma quel che conta non sono i pochi oggetti quotidiani delle mie attenzioni, ma il fatto che esse siano per me delle novità assolute, cose ancora senza un nome per definirle e che riescono a meravigliarmi ogni giorno di più.  Con i miei occhi nuovi colgo solo il mio punto di vista e Piccolo il mondo  è il racconto di ciò che vedo, il diario, in prima persona, di una nascita: la mia. Nda: come spiego nella presentazione del blog, dovremmo provare a cambiare prospettiva, soprattutto in presenza di un bambino appena nato. Così, ho provato a mettermi nei suoi panni, per la verità un po' stretti. Ma, fra tutte, è quella mentale, per noi adulti, la dimensione meno elastica, quella che più di qualsiasi altra siamo costretti ogni giorno ad affrontare.

Il nostro amore

E' la prima volta che lo faccio: non il prendermi una licenza poetica, perché questo l'ho già fatto altre volte, ma il dedicare una poesia su questo blog soltanto a mia moglie, che generosamente mi ha dato un altro figlio appena qualche giorno fa. Il nostro amore Il nostro amore non è una fune sospesa sulla linea dell'orizzonte su cui ballano due giocolieri professionisti con un gancio di salvataggio alla schiena e sopra una rete di protezione Il nostro amore non somiglia all'eternità Non è perfetto né infallibile né romantico Il nostro amore è fatto di istanti gli stessi che riempiono le nostre valigie nel pazzo viaggio della vita Il nostro amore solca la linea del tempo E come un marinaio alla deriva su una zattera priva di bussola attraversa tempeste e lagune oceani gelidi e mari de sud Il nostro amore non è immortale ma è un amore fin troppo umano pieno di gioia e disperazione Senza promesse e denso di dubbi fitti come la nebbia del mattino Il nostro amore se ne va

Anche questa è violenza

Mi ricollego per un momento al post precedente  sugli scontri a Roma fra studenti e forze dell'ordine e sull'auspicio che ho espresso perché mio figlio non si trovi mai a parteciparvi. Lo faccio soltanto per aggiungere che ritengo gli episodi di violenza di martedì paragonabili alla violenza a cui ho assistito oggi. Ministero dell'Istruzione, due giorni dopo la guerriglia nella capitale, ore 11: gli studenti della scuola elementare sono schierati come marionette, messi in riga dalle insegnanti, pronti ad accogliere il ministro Gelmini e il sindaco Alemanno per la presentazione del progetto 'La scuola per Roma 2020', che ha l'obiettivo di coinvolgere le scuole italiane nella promozione della candidatura della capitale alle Olimpiadi che si svolgeranno fra 10 anni e, come recita il comunicato, di "diffondere fra i più giovani i valori dello sport e dello spirito olimpico".  Fin qui nulla di inconsueto, a parte l'ammaestramento, per necessità coreogra

Scontri a Roma, se mio figlio fosse stato lì in mezzo

Ieri ero in mezzo a loro, i guerriglieri studenti e i guerriglieri poliziotti, nella più grande esaltazione generale mai veduta (in entrambe le parti). Una triste follia collettiva è ciò che ho potuto osservare, fra le lacrime, che sono riuscito a trattenere a stento, per il dispiacere che queste scene mi hanno causato: giovani e giovanissimi che combattevano tutti contro tutti, anche fra di loro, maschere di sangue, poliziotti, anch'essi vittime, che reagivano alla violenza con altrettanta, ferma violenza. Ciò che ho visto è stato il solito crudele gioco delle parti, in cui gli studenti dovevano portare all'esasperazione il loro ruolo previsto per quel giorno e le forze dell'ordine dovevano rispondere, per dimostrare che lo Stato c'è e che la città non può essere abbandonata ai disordini. Ma ciò che ho visto è stato anche il massacro delle parti, nella mischia dove le divise e le bandiere si confondono e gli occhi e le menti sono accecati dai lacrimogeni e dagli scoppi

Cancellare l'infanzia nell'attesa di giorni migliori

"Hai letto la notizia su Repubblica di stamattina? Sembra che i bambini che frequentano il nido andranno meglio a scuola", mi riferisce entusiasta un mio collega a pranzo. "Sì, l'ho letta. E tu hai visto che apprendono meglio l'italiano quei bambini ai quali i genitori sono soliti raccontare la propria giornata piuttosto che leggere loro un libro?", gli faccio eco citando 'lo studio' pubblicato sul Corriere della Sera. Quante novità, oggi sui giornali! E quanti consigli per investimenti sicuri, a breve e medio termine, per il bene dei figli! Mi viene in mente la storiella secondo la quale il nido fa bene ai piccoli perché, ammalandosi continuamente, rafforzano il proprio sistema immunitario. Secondo i teorici di questa impostazione, sarebbe un bene che i neonati di pochi mesi si riempiano di antibiotici e di cortisonici per contrastare batteri e virus che, se inizialmente dannosi, non tarderanno prima o poi a rivelare le proprie benefiche virtù. Mi s

I miei nobili, edificanti principi

"Papà, oggi non ci voglio andare all'asilo", mi dice stamattina Dodokko con voce implorante. E io gli rispondo, poco convinto, che "devi andare, perché impari tante cose e ti diverti...e poi a casa che faresti da solo, dato che mamma e papà vanno anche loro al lavoro?". "Non ci andare al lavoro!", mi dice mio figlio. "Ma non posso non andare", gli assicuro. "Ma perché devi sempre andare al lavoro?", mi chiede con insistenza. E io, scavalcando ogni nobile principio edificante, gli spiego sinceramente che "ci vado perché in cambio mi danno dei soldi e che quei soldi ci servono per mangiare e per le spese di casa e anche per comprargli i regali". Ciò che non gli racconto è che io vado a lavorare non perché mi piaccia farlo e nemmeno per qualche succitato nobile principio. Né che ci vado per arricchirmi, ché alla fine del mese non riesco a risparmiare neanche dieci euro!  Ci vado soltanto per una necessità, che è la stessa del

Lo chiamarono Gesù Bambino

Lo chiamarono Gesù Bambino,  esattamente com'è scritto,  con due nomi: Gesù e Bambino.  Primo, perché della parola  Gesù   trovavano bello quello strano accento, sulla  u . Secondo, perché il figlio era un bambino  Un bambino in carne e ossa  e quindi sulla parola  Bambino   il vero accento dovevano posare. Gesù Bambino non era figlio di un dio e di una dea,  ma di un uomo e di una donna neppure immacolati: il suo papà e la sua mamma erano soltanto innamorati. Senza grandi qualità e nemmeno troppi peccati, misero al mondo un figlio nel giorno di Natale. Un dono, fra i momenti perduti e i desideri ritrovati. A lui i genitori non augurarono il miracolo  di guarire il mondo dal male, ma salute e felicità.  E aggiunsero: "Sii onesto, rispetta il prossimo". Non gli insegnarono i dieci comandamenti ma cento consigli gli raccomandarono. E Gesù Bambino crebbe contento. Non diventò un dio e nemmeno un re ma un uomo capace di amare e di commuoversi.  E di sorridere, perfino quando

Una questione di etichetta

Qualcuno ricorderà il post L'etichetta e l'otorino , nel quale raccontavo come mio figlio fosse un patito di etichette e un abile giocoliere, riuscendo nell'impresa straordinaria di ciucciarsi il pollice e, nello stesso tempo, di arrotolare l'etichetta del suo pupazzo preferito con lo stesso pollice e l'indice. Ebbene, è da quando è nato che Dodokko stringe Lala dei Teletubbies fra le braccia, ne accarezza l'etichetta e si ciuccia il pollice sinistro. Nei momenti di sconforto o semplicemente di stanchezza, cerca Lala per tutta la casa con il pollice alzato, già pronto a infilarselo in bocca non appena abbia rinvenuto il peluche.  La 'dipendenza' Lala-etichetta-pollice in bocca è evidente, tanto che spesso abbiamo pensato - senza mai avere avuto il coraggio di farlo - di far sparire Lala al fine di togliere a Dodokko il vizio del dito in bocca. In ogni caso ci ha pensato lui, qualche giorno fa, a recidere il cordone che univa il suo pollice all'etiche

Lo scaldabanchi

Ogni tanto, periodicamente, è necessario riproporre questa poesia di Prévert.  Perché sull'educazione dei figli si sbilanciano fin troppi saputelli arroganti. Gente dalle maniere un po' militari. Persone purtroppo poco sensibili e molto ignoranti. Lo scaldabanchi Con la testa dice no  ma col cuore dice sì  a chi ama dice sì al professore dice no sta in piedi viene interrogato e i problemi son tutti posti all'improvviso gli prende la ridarella e cancella tutto le cifre e le parole le date e i nomi le frasi e i tranelli e malgrado le minacce del maestro fra gli strilli dei ragazzi prodigio con gessi di tutti i colori sulla lavagna della sofferenza disegna il volto della felicità.