Passa ai contenuti principali

Scontri a Roma, se mio figlio fosse stato lì in mezzo

Ieri ero in mezzo a loro, i guerriglieri studenti e i guerriglieri poliziotti, nella più grande esaltazione generale mai veduta (in entrambe le parti). Una triste follia collettiva è ciò che ho potuto osservare, fra le lacrime, che sono riuscito a trattenere a stento, per il dispiacere che queste scene mi hanno causato: giovani e giovanissimi che combattevano tutti contro tutti, anche fra di loro, maschere di sangue, poliziotti, anch'essi vittime, che reagivano alla violenza con altrettanta, ferma violenza.
Ciò che ho visto è stato il solito crudele gioco delle parti, in cui gli studenti dovevano portare all'esasperazione il loro ruolo previsto per quel giorno e le forze dell'ordine dovevano rispondere, per dimostrare che lo Stato c'è e che la città non può essere abbandonata ai disordini. Ma ciò che ho visto è stato anche il massacro delle parti, nella mischia dove le divise e le bandiere si confondono e gli occhi e le menti sono accecati dai lacrimogeni e dagli scoppi delle bombe-carta.
Il caos che c'è stato nel centro di Roma è imputabile prima di tutto a un caos mentale: nelle due onde che si sono contrapposte non ho mai sentito una sola voce fuori dal coro che dicesse: "E' sbagliato quel che stiamo facendo! Basta con questa assurda violenza! Fermiamoci, torniamo a casa! Pace!". E' mancato lo spirito critico di chi si chiedesse se le proprie azioni fossero giuste.
Ovviamente, ho anche immaginato mio figlio fra quei ragazzi e quegli uomini e gli ho augurato di non essere lì il giorno in cui avrà la loro età. Non perché desideri che egli non affronti i problemi sociali o non manifesti pubblicamente il proprio pensiero, ma perché voglio che fugga dalla violenza cieca, come dalla peste. 
Non per codardia, né perché può far male, ma semplicemente perché, in quanto fine a se stessa, la violenza è il male.

Commenti

  1. Io per fortuna sono tornata presto e ho visto solo in tv quelle scene terribili...
    Due sono stati i miei pensieri guardandole:
    1) se mi fosse successo qualcosa non me lo sarei perdonata pensando ai miei figli
    2) il tuo stesso pensiero: spero (per quanto sfiduciata anch'io) di riuscire a trasmettere loro dei valori veri...spero di riuscire a farli credere in qualcosa che non sia la pura e semplice violenza gratuita verso gli altri....spero che non si trovino MAI dalla parte di chi attacca per primo....e se succederà, spero di non essere più qui a vederlo....ma spero, soprattutto, che sempre meno loro vedano scene del genere

    RispondiElimina
  2. Ciao sono contenta che sia tu che mamma non basta siate usciti incolumi da quell'inferno. Io ho l'impressione che tante persone sentano la necessità di esprimere la loro rabbia in maniera violenta, il fatto che, per lo più, siano giovani la dice lunga sul fallimento di chi si doveva far carico della loro educazione e sulla poca importanza che diamo alla nostra memoria storica.
    Speriamo di fare di meglio per i nostri figli.
    Ciao.

    RispondiElimina
  3. Però Cristiano secondo te come è possibile che un ragazzo di quindici anni sia in prognosi riservata perchè aggredito da un altro manifestante?
    E poi ci sono similitudini tra quello che succede ad Atene e quello che è accaduto a Roma? E' impressionante quanto le scene si assomiglino, stessa devastazione e stessa scenografia e attori. Uso questi termini non perchè pensi particolarmente che ci sia una regia occulta (anche perchè dovrebbe avere proporzioni internazionali, ci mancherebbe solo questo), ma proprio perchè guardando i servizi televisivi sono somiglianze che colpiscono immediatamente anche una mediamente tonta come me.
    Boh, speriamo bene!

    RispondiElimina
  4. Ciao. Queste scene si assomigliano perché è comune la violenza e la cecità, non perché ci sia una regia occulta. Unico è il cervello (o la mancanza di esso) della folla, mentre purtroppo mancano i cervelli pensanti dei singoli.

    RispondiElimina

Posta un commento

Post popolari in questo blog

La partita sul terrazzo

Il muretto sarà alto un metro e mezzo al massimo. È per questo che il pallone con cui giochiamo a calcio sul terrazzo è sgonfio. Perché non rimbalzi troppo, con il rischio che vada a finire di sotto e colpisca qualcuno di passaggio. È pur vero che di persone ne passano poche sotto casa in questi giorni e comunque è capitato, alcune volte, che la palla finisse in strada. È andata sempre bene, per fortuna. Il pallone che usiamo per giocare sul terrazzo non lo abbiamo sgonfiato apposta. È bucato. Lo aveva morso il nostro cane Spot a Villa Borghese, qualche tempo prima che ci chiudessero tutti in casa. Non so perché non lo avessimo buttato via subito, quel giorno. Adesso in ogni caso ci serve, per il motivo che ho detto.  Il terrazzo non lo abbiamo mai frequentato prima del coronavirus, i miei figli non c'erano mai stati. È uno di quei posti che appartengono a tutti i condòmini e che, proprio per questo motivo, non sono di nessuno, perché nessuno ha bisogno di andarci e tutti vog

Coronavirus: il lockdown e le ripercussioni sui figli minori dei genitori separati

Intervista all’avvocato Antonella Laganella, giudice onorario Corte d’Appello di Campobasso, sezione minori Riaprire o lasciare tutto ancora chiuso, ripartire insieme oppure a due o a tre velocità: mentre si discute sulle modalità di allentamento del lockdown e su come gestire la Fase-2 nell’ottica di un ritorno graduale alla normalità dopo l’epidemia, diventano sempre più problematici, a causa delle limitazioni agli spostamenti per contenere l’epidemia da coronavirus, i rapporti fra figli minori e i genitori non collocatari all’interno delle famiglie con coniugi separati. Ne parla all‘Adnkronos l’avvocato Antonella Laganella, giudice onorario della Corte d’Appello di Campobasso, sezione minori, che sottolinea quanto le misure urgenti adottate dal Governo abbiano inciso sui rapporti fra figli e genitori non collocatari. "Le conflittualità tra ex coniugi si sono intensificate - spiega l’avvocato Laganella - di pari passo con la crescente incertezza sull’interpretazione d

Quando siamo costretti ad ascoltare un racconto sbagliato

Una delle peggiori forme di violenza che può capitarci di subire è il racconto sbagliato di ciò che ci accade. Trovo delittuoso - non ho altri termini per definire qualsiasi tentativo di mistificazione - il voler far passare una cosa per un'altra, appositamente, come se fossi tu a non capire e a non renderti conto di ciò che hai intorno: essere trattato, in una parola, come uno scemo. Sono incapace di tollerare che si scambi la verità con la finzione, non riesco a concepire la possibilità di intercambiabilità dell'una con l'altra, con la prima che diventi falsità e la seconda assurga a Verbo e a voce di Dio o, più semplicemente, a resoconto puntuale. Eppure, sono molti a credere alle chiacchiere, a farsi soggiogare più dal suono delle parole, che ad ascoltarle criticamente, cercando di coglierne il significato. La voce, spesso, ha più peso della sostanza che una frase esprime: siamo più ascoltatori di suoni che di significati. E chi parla, spesso, si sente e si pone su