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La partita di pallone


Un pallone che rimbalza sull'asfalto di un marciapiede: è questa la macchina del tempo con cui, l'altro giorno, ho compiuto uno dei miei soliti viaggi nel passato. Seduto su una panchina durante la pausa pranzo, osservo il bambino di otto anni che tira calci a una palla contro un muro. Ripercorro all'indietro tutti i miei anni fino a ritrovare me stesso a quell'età: sullo slargo di fronte la mia scuola elementare, il pallone che rimbalza dalla facciata arancione dell'edificio alla macchina parcheggiata lì davanti. Sudato come soltanto i bambini sono capaci di essere, le guance arrossate e la pelle già rinfrescata dal vento, vestiti e capelli bagnati, a ogni tiro un sogno: il gol del campione, il calcio imparabile perfino per il portiere più bravo del mondo.

Il pallone arriva ai miei piedi, mi alzo dalla panchina e comincio a giocare a calcio con quel bambino sconosciuto ma che in realtà so di conoscere bene. Gli rilancio la palla con movimenti, a dire il vero, un po' arrugginiti a distanza di una trentina di anni. Lui la raccoglie, tenta delle azioni di gioco di cui è incapace, cerca di fare il fenomeno con giocate da numeri 10, tira pallonate di collo e di punta, colpisce goffamente di tacco. Tenta e ritenta, mi chiede di lanciare alto per colpire il pallone di testa e lo faccio felice. Ma la palla finisce fra le macchine, proprio come accadeva ai miei tempi. La vado a recuperare, gliela consegno e gli dico che devo andarmene. "Perché te ne vai?", chiede dispiaciuto il bambino, a me, allo sconosciuto. "Perché devo tornare al lavoro", gli rispondo dicendogli la verità. Mi allontano, il bambino prosegue da solo la sua partita.

Lo so, perché lo sento, che quella data al bambino è una giustificazione che non regge: non me ne vado perché devo tornare al lavoro, non ci sono lavori al mondo che varrebbero quella partita. Invece, me ne vado perché capisco che le partite interrotte trent'anni prima non si riprendono, perché il campionato è terminato da molto tempo, perché la classifica adesso la sta scalando qualcun altro al posto mio. Sono passati trent'anni, dio mio, davvero un'eternità. Il bambino deve proseguire da solo la sua partita. La mia, al contrario, l'ho già giocata ed è terminata da un pezzo, definitivamente chiusa sul 2-0 per l'avversario, nessuna possibilità di tempi supplementari.



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