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Ti ho mai parlato di Paffi?

 


Chi era questa Paffi e perché mi torna in mente, dopo quasi quarant'anni, una ragazza della quale ricordo soltanto il soprannome?
Era una studentessa di un'altra sezione delle medie, che nei corridoi della scuola incrociai poche volte e che, se la dovessi rincontrare oggi, neanche riconoscerei. Facemmo il viaggio scolastico di terza insieme, la sua classe con la mia, e io capitai nel suo stesso scompartimento del treno.
Inutile dire quanto mi piacesse, superfluo e poco credibile, per chi ha dimenticato certi batticuore, affermare che mi innamorai di lei non appena i nostri sguardi si incrociarono. Ma gli adolescenti si innamorano a prima vista, sarà capitato a ognuno di noi e non una volta soltanto.
Non ne ricordo il nome, come ho detto, perché la conoscevo come Paffi, ma il viso ce l'ho ancora bene in mente: tondo, gli occhi grandi color nocciola, la carnagione chiara, i capelli neri, lunghi e lisci. Indossava una felpa fucsia, leggera, sopra ai jeans aderenti, blu scuro e con le tasche piccole.   
Nel nostro scompartimento eravamo in quattro e io riuscii a scambiare con Paffi soltanto qualche parola, sono sempre stato timido e poco intraprendente con le ragazze. Ma il viaggio era lungo, da Roma fino alla Sicilia, e probabilmente immaginavo che prima o poi mi sarei ritrovato da solo con lei, come al solito lasciavo fare al caso, speravo che qualcosa di bello, e dei cui particolari non avevo neanche la più pallida idea, si verificasse spontaneamente.
E invece, sempre il caso, lo stesso oppure un altro, volle che, dopo essermi allontanato per un poco dal nostro scompartimento, al mio ritorno la trovassi a baciare un mio compagno di scuola. Niente di drammatico: non fui assalito dalla gelosia, Paffi non mi aveva promesso niente che poi non avesse mantenuto. Mi piaceva ma poteva darsi benissimo che io non piacessi a lei. Sono cose che succedono e a tredici anni questo lo avevo già imparato.
Passarono le ore, il viaggio continuava e, a una stazione dove si fermò il treno, salì un ragazzo che prese posto accanto a lei. Neanche a dirlo, mezz'ora dopo Paffi stava baciando anche lui. Anche qui, niente di drammatico e non mi misi mentalmente a fare il moralista. Nemmeno volli cercare una spiegazione per il fatto che prima stesse baciando una persona e poi un'altra. Dovetti invece aver pensato che il suo fosse soltanto un gioco oppure una scommessa, quella ad esempio di trovare il maggior numero di ragazzi da baciare durante il viaggio o nel corso della breve vacanza.
Ebbene, alla fine questo ragazzo scese alla sua stazione e Paffi mi fece capire di essere interessata a me. Io però feci finta di nulla, non mi andava di essere parte della sua scommessa, un numero di un suo elenco, uno dei tanti, da prendere e lasciare durante quella gita di fine anno. E così rinunciai a quell'offerta che, in un contesto diverso, avrei invece apprezzato.
E Paffi e io non ci baciammo mai e dopo la fine della scuola non ci siamo più visti. 

Ora, dicevo all'inizio, perché mi torna in mente Paffi, dopo tutto questo tempo?
La ragione è che io da allora non sono cambiato e dalle persone con le quali interagisco, a ogni livello, pretendo un interesse vero e sincero. Non mi piace che mi si parli distrattamente o con sufficienza, con frasi fatte o parole che chi me le rivolge nemmeno conosce. Allo stesso modo, non amo le interruzioni, e dopo di esse, soprattutto il dimenticare l'argomento di cui si stava parlando, e che magari era importante. Detesto gli slogan, che non sono altro che la pretesa di dire tutto in due parole, come se queste contenessero ogni tipo di spiegazione. Non mi piace chi pretende di avere detto senza ipotizzare spazi per ulteriori domande. E non mi piacciono le domande a cui non seguono risposte, e io sono uno che si accontenterebbe perfino di una risposta come "non voglio rispondere". Non mi piacciono i giri di parole, le frasi tendenziose o elusive... Tutto questo per rimanere sul piano della dialettica.
Su quello sentimentale, il mio pensiero non cambia: se è amore è amore, non c'è spazio per la superficialità e né per la mancanza di sensibilità, e neanche per tutte le cose appena dette su un certo modo di parlare e che ovviamente si riferiscono anche a quest'ultimo tipo di rapporto interpersonale. Così come le frasi fatte, non mi piacciono gli atteggiamenti stereotipati, le abitudini, i comportamenti di circostanza. Non amo i rituali, gli obblighi morali, i patti sia scritti e sia non scritti, ciò che dobbiamo o dovremmo sentire, gli inviti formali e i debiti d'amore. 
Amo invece il sentimento, il prevalere, su tutto, di ciò che si sente, momento dopo momento, neanche giorno dopo giorno. Perché l'amore non è una promessa, ma una presa d'atto dopo un gesto. L'amore non è un appuntamento, né un impegno del cuore, che invece dev'essere libero e vivere il presente. L'amore, se è sentimento, non si rivolge al futuro, ma ha a che fare con il qui e ora. Soltanto in questo modo lo concepisco. 
Per me l'amore è concentrazione e, di conseguenza, attrazione, nel senso stretto del termine ovvero una capacità magica di portare a sé l'altro, dandogli allo stesso tempo se stessi.
Non c'è spazio per il contrario, così come per una Paffi distratta. 

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