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Passaggi

"Passaggio": mi gira per la testa questa parola oggi, mentre sono in viaggio su un treno metropolitano, che ogni cinque minuti passa e si ferma in una stazione sempre diversa ma tutte le volte così uguale a quelle che l'hanno preceduta. "Passaggio": un termine che mi fa pensare al tempo per due motivi. Il primo, il più ovvio, è che, per passare da un punto a un altro, un oggetto ha bisogno di tempo. Fosse pure di una frazione di secondo, il passaggio avviene in uno spazio e impiega un certo lasso di tempo per compiersi. Il secondo ha a che vedere con la connotazione che il termine "passaggio" assume con l'età: quello dei bambini è un tempo che va a rilento e che non corre, come invece fa quello degli adulti. Ma dirò di più: i bambini non pensano affatto al passare del tempo o, perlomeno, non approfondiscono quel barlume di pensiero che ogni tanto può far capolino nei loro cervelli. 
Quando ero bambino, il passaggio per me non era per niente tutto questo, ma era addirittura quello che si faceva con il pallone: il passaggio della sfera dai piedi di un giocatore a quelli di un compagno di squadra. E passaggio era anche quello in macchina, quando d'estate chiedevo a qualcuno un passaggio per essere accompagnato dalla spiaggia al paese. Diversamente da quanto avviene oggi, in quei passaggi il prima non si dileguava mai nel dopo e, anche se passata a un altro calciatore, la palla restava nei miei occhi ed era cosa ancora mia, addirittura trattenuta dai miei piedi con la fantasia, anche se quel giocatore dopo un poco la perdeva. La stessa cosa avveniva per il passaggio in macchina, quando il ricordo del mare rimaneva impressionato nella mia mente, anche quando l'azzurro era ormai lontano, definitivamente alle mie spalle, anche se ero tornato da un pezzo a casa e anche se era notte fonda ed era ora di andare a letto: io andavo a dormire con gli occhi ancora zuppi di acqua marina.
Ma oggi cosa sono diventati quei passaggi di ieri? 
Sono passaggi dove tutto passa ed è passato ormai. Sono passaggi in cui tutto ci scorre solennemente davanti agli occhi, l'amore come l'odio e perfino la stessa indifferenza. Sì, si tratta proprio di passaggi indifferenti, di persone che prima ci sono e che un attimo dopo sono già scomparse. Di segni della croce, di frasi come "è andata come è andata", di prese d'atto. E noi ce ne stiamo lì a guardare questi passaggi, come spettatori dalla tribuna di uno stadio, incapaci perfino di fare il tifo. Sono passaggi di comete, quelli che viviamo oggi. Passaggi di treni che non fanno nemmeno fermate intermedie. Passaggi in macchina in cui non vedi l'ora di essere arrivato. 
Passaggi in cui non resta più niente e di cui non mettiamo in tasca più nemmeno un granello della sabbia che eternamente passa da un cono all'altro della clessidra.
Uno dei miei figli ha quasi quattro anni e l'altro, invece, poco più di tre mesi: sono nel bel mezzo della loro età di passaggio e di questo non si rendono conto. Quando sto con loro tento, senza riuscirci, di infilarmi nei cunei stretti del loro tempo infinito. Per fortuna, loro non si accorgono che il mio è un tentativo fallito e che il passaggio in realtà non avviene. Loro credono che i nostri tempi si corrispondano, ma io so che le cose stanno diversamente e che non starò per sempre con loro. I miei figli non immaginano minimamente i passaggi a cui penso io e questo è un bene. E' un grande bene che i loro occhi siano lagune dove ancora balla l'azzurro del mare e non deserti aridi, senza nemmeno un granello di sabbia.

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