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Come la capocchia di uno spillo

Vi sono braccia che si allargano e mani che si tendono verso chiunque, come quelle del neonato che ho visto nel treno. Un sorriso, il suo, rivolto non solo verso chiunque incrociasse con gli occhi, ma anche all'indirizzo di chi non si accorgeva affatto di lui, ma che tuttavia sapeva eccitarne la curiosità.
E vi sono sguardi e parole che bambini ormai più grandi, come Dodokko, dedicano solamente ai genitori.
Il mondo si contrae inevitabilmente da una certa età in poi. Si incomincia a classificare, a dare un ordine, a fare una graduatoria delle cose fondamentali e di quelle che non sono tanto importanti. La gente non è più tutta uguale, indistinta, allo stesso modo benevola. Ci sono persone con cui si può parlare e altre con cui è meglio starsene in silenzio.
Ci sono papà distanti, come me in questi giorni, a causa del lavoro, con i quali si può urlare al telefono: "Vieni da me, ora! Perché devi sempre lavorare? Voglio che vieni subito, stasera!".
Non vi sono altre persone, in questo momento per Dodokko. Il mondo è diventato la capocchia di uno spillo per lui.
La distanza è vasta, ma inizio anch'io a guardare con altri occhi, forse più miopi, la nostra lontananza. Chilometro dopo chilometro, finalmente la vedo ridursi fino ad azzerarsi, a scomparire del tutto.
Stasera incontrerò mio figlio, torneremo tutti a casa. Lui si addormenterà in macchina dopo la prima curva e si risveglierà nel suo lettino senza che si sia accorto del viaggio notturno. La sua sarà una conferma, avendo avuto ragione, ancora una volta, a pensare, a gridare "vieni da me, ora!", perché il mondo è piccolo ormai, come la capocchia di uno spillo.

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