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Campane di vetro, bicchieri di cristallo

I bicchieri sono sul tavolo. A distanza di giorni, voglio  immaginarli ancora così, per ragioni sceniche, uno ancora in piedi e mezzo pieno, quasi nessuno abbia avuto il tempo di svuotarlo, l'altro a pochi centimetri di distanza, sdraiato sulla tovaglia, come se qualcosa sia andato storto e sia caduto e nessuno lo abbia poi raccolto. C'è  una nube giallognola che parte dalla sua imboccatura per disperdersi in un vago triangolo rovesciato, che ora è asciutto.
I bicchieri sono leggeri, di cristallo, è fondamentale che per adesso si tenga conto esclusivamente della trasparenza della materia di cui sono fatti. Significa soffermarsi soltanto su di essi e non guardarvi attraverso, come fossero una lente. 
L'indicazione è dunque quella di trattenersi un attimo prima, senza andare oltre con lo sguardo, evitando di scorgere qualsiasi oggetto che comparisse oltre di loro, attraversandoli con la vista. Per fare diversamente, per trascurarli considerandoli un mezzo, ci sarà tempo, basterà avere la pazienza di aspettare ancora un poco.
Intanto, ora occupiamoci degli occhi, che possiedono la stessa trasparenza del cristallo: hanno guardato un bicchiere cadere ma poi se ne sono restati immobili, non mi viene nemmeno da dire come quelli di uno spettatore al cinema e neanche come quelli di un poeta ispirato oppure di un asceta in contemplazione.
Sono occhi inerti, senza un colore precisato, sono privi di direzione e di sguardo, sono proprio come questi due bicchieri, uno mezzo pieno e l'altro sdraiato lì affianco, che nessuno ha ancora raccolto e lavato e riposto sullo scaffale in cucina.
Questi bicchieri, adesso che finalmente mi decido ad attraversarli con lo sguardo, li trovo non dissimili da campane di vetro, trasparenti e ottuse, volendo facili da rompersi, ma che è preferibile conservare intatte, lasciandole lì dove si trovano da giorni. 
O anche da anni, potrei ipotizzare.
Te ne stai al loro interno, incapace di agire al di là di quel muro di vetro, dal quale puoi guardare il mondo muoversi e lasciare che esso ti osservi, nel tuo anomalo equilibrio chiuso, e fermo. 
Sei un macigno assurdamente senza peso, né tempo. 
I due mondi, ormai lo spettatore lo avrà inteso, una volta scorti attraverso il vetro da uno sguardo che può partire sia dall'esterno che dal loro interno, sono separati da un confine labile e restano perciò vicini e al contempo distanti.
Sia il primo che il secondo, non c'è nulla da fare, sono frutti della fantasia, perché il vetro distorce inevitabilmente la realtà, non c'è vera trasparenza né in un bicchiere di cristallo e né in una campana di vetro. Non si potrà mai capire niente soltanto scorgendo ovvero senza toccare con mano. Afferrare, comprendere, capire, sono verbi che non per niente derivano tutti e implicano l'azione di prendere. Perfino sapere richiama al sapore, a qualcosa che è da assaggiare e da masticare e infine digerire. In tutti questi casi è necessario avvicinarsi, addentrarsi, da lontano non si conclude nulla di buono, anche se la realtà è a portata di sguardo.  
Ma tornando a noi, sono convinto che tutto alla fine andrà bene e si risolverà. Prima o poi, cessate le esigenze sceniche, qualcuno toglierà i bicchieri dalla tavola, leverà di mezzo le campane e pulirà la tovaglia sporca. 
Eliminato dunque il vetro, il lieto fine, dove i mondi immaginari si dissolvono: senza più muri trasparenti nella nostra rappresentazione, chi lo vorrà, potrà fin da ora decidere, e perfino una volta per tutte, di non farne più parte.

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