Passa ai contenuti principali

Qui e ora, al di qua della siepe

 

L'altro giorno sono andato a casa di Nicola, a mangiare il suo pollo speziato. È una ricetta marocchina di cui il mio amico va fiero, almeno quanto per Leopardi. A cena infatti si finisce come sempre per parlare del poeta di Recanati e dell'Infinito. Colpa delle spezie oppure mia, che sollevo la questione, il tema è l'hic et nunc, il qui e ora, l'istante da vivere con pienezza e leggerezza, senza la testa altrove, cosa complicata, per quanto mi riguarda.
E gli faccio notare che, se nella poesia di Leopardi il momento trova spazio sull'ermo colle e al di qua della siepe, oltre di essa c'è l'infinito che egli predilige: l'istante è un pretesto, l'occasione per intravedere e ritrovarsi, al di là di esso,  all'interno di "interminati spazi e profondissima quiete", fino a preferire al presente quel 'posto' remoto e "il dolce naufragare in quel mare".
Il qui e ora, al quale Nicola mi consiglia di affidarmi, gli confesso di trovarlo irrealizzabile. Lui mi dice che si tratta soltanto di vivere il presente, succeda ciò che deve, io gli rispondo che per me ciò è impossibile, che nell'istante ci si trascina dentro il passato, che il momento non è puro e assoluto, e che poi lo si carica di futuro, di aspettative o di apprensioni.
L'istante è il punto di passaggio inafferrabile fra il prima e il dopo. Non viviamo fissati in un fotogramma, ma in movimento, nella pellicola della nostra vita che non può fare a meno di svolgersi.
C'è poi un'altra cosa, faccio notare al mio amico. Ed è banalmente il rischio dell'azione non pensata, la non considerazione delle conseguenze e delle implicazioni che il momento, che non contempla il tempo per il ragionamento, porta con sé. 
Il qui e ora, gli dico, è irresponsabile, non si tratta di stare sempre sul chi va là, ma è roba da adolescenti, ai quali può andare bene ma a volte anche male. 

A ogni modo,  qualche giorno dopo la cena, ho seguito il suggerimento di Nicola, mi sono affidato all'istante e ne ho colto la parte bella assieme a quella brutta.
E il naufragare è stato dolce, ma anche amaro, in quel mare nel quale ho voluto perdermi: forse non ho mai imparato a nuotare ed è tardi per decidere di incominciare proprio adesso.
Eravamo in due al di qua della siepe, decisi a farci bastare il presente, nessun'altra intenzione, nessun desiderio di oltrepassare qualsivoglia limite. La felicità, lo sapevamo, era lì con noi, non c'era alcun bisogno di cercarla altrove, nessuna necessità di avventurarsi in un paese straniero.
Ma l'istante preso così come è venuto, lo abbiamo capito soltanto dopo e sulla nostra pelle, è durato poco, perché tenercelo addosso significava in fin dei conti essere indifferenti sia verso noi stessi che verso l'altro. 
Ecco perché a un certo punto il qui e ora è svanito, senza avvertirci ma neanche sorprenderci troppo: per lasciare il posto al nostro arrivo, alla nostra storia e ai nostri sogni che vedevamo nascere dentro di noi e polverizzarsi nell'istante stesso nel quale prendevano forma.
Il fotogramma era cosa morta, la pellicola della nostra vita aveva improvvisamente ripreso a svolgersi.

Commenti

Post popolari in questo blog

La partita sul terrazzo

Il muretto sarà alto un metro e mezzo al massimo. È per questo che il pallone con cui giochiamo a calcio sul terrazzo è sgonfio. Perché non rimbalzi troppo, con il rischio che vada a finire di sotto e colpisca qualcuno di passaggio. È pur vero che di persone ne passano poche sotto casa in questi giorni e comunque è capitato, alcune volte, che la palla finisse in strada. È andata sempre bene, per fortuna. Il pallone che usiamo per giocare sul terrazzo non lo abbiamo sgonfiato apposta. È bucato. Lo aveva morso il nostro cane Spot a Villa Borghese, qualche tempo prima che ci chiudessero tutti in casa. Non so perché non lo avessimo buttato via subito, quel giorno. Adesso in ogni caso ci serve, per il motivo che ho detto.  Il terrazzo non lo abbiamo mai frequentato prima del coronavirus, i miei figli non c'erano mai stati. È uno di quei posti che appartengono a tutti i condòmini e che, proprio per questo motivo, non sono di nessuno, perché nessuno ha bisogno di andarci e tutti vog

Coronavirus: il lockdown e le ripercussioni sui figli minori dei genitori separati

Intervista all’avvocato Antonella Laganella, giudice onorario Corte d’Appello di Campobasso, sezione minori Riaprire o lasciare tutto ancora chiuso, ripartire insieme oppure a due o a tre velocità: mentre si discute sulle modalità di allentamento del lockdown e su come gestire la Fase-2 nell’ottica di un ritorno graduale alla normalità dopo l’epidemia, diventano sempre più problematici, a causa delle limitazioni agli spostamenti per contenere l’epidemia da coronavirus, i rapporti fra figli minori e i genitori non collocatari all’interno delle famiglie con coniugi separati. Ne parla all‘Adnkronos l’avvocato Antonella Laganella, giudice onorario della Corte d’Appello di Campobasso, sezione minori, che sottolinea quanto le misure urgenti adottate dal Governo abbiano inciso sui rapporti fra figli e genitori non collocatari. "Le conflittualità tra ex coniugi si sono intensificate - spiega l’avvocato Laganella - di pari passo con la crescente incertezza sull’interpretazione d

Quando siamo costretti ad ascoltare un racconto sbagliato

Una delle peggiori forme di violenza che può capitarci di subire è il racconto sbagliato di ciò che ci accade. Trovo delittuoso - non ho altri termini per definire qualsiasi tentativo di mistificazione - il voler far passare una cosa per un'altra, appositamente, come se fossi tu a non capire e a non renderti conto di ciò che hai intorno: essere trattato, in una parola, come uno scemo. Sono incapace di tollerare che si scambi la verità con la finzione, non riesco a concepire la possibilità di intercambiabilità dell'una con l'altra, con la prima che diventi falsità e la seconda assurga a Verbo e a voce di Dio o, più semplicemente, a resoconto puntuale. Eppure, sono molti a credere alle chiacchiere, a farsi soggiogare più dal suono delle parole, che ad ascoltarle criticamente, cercando di coglierne il significato. La voce, spesso, ha più peso della sostanza che una frase esprime: siamo più ascoltatori di suoni che di significati. E chi parla, spesso, si sente e si pone su