Il pino bianco è alto 35 metri e largo 6, ed è soltanto per questo che è guardato come un miracolo vivente. Solamente perché è un'eccezione: gli altri alberi vicini e nati dopo sono infatti molto più piccoli di lui, che invece è semplicemente un miracolato, uno che quando gli stessi, che ora lo ammirano, hanno tagliato il bosco, se ne stava in disparte. Uno che, senza cercare di fuggire, sfuggì all'attenzione di chi aveva distrutto tutto.
Gente distratta allora non meno di quanto è distratta oggi. È paradossale infatti stupirsi per ciò che è spontaneo e naturalmente bello, quasi pensassero che la bellezza possa dipendere esclusivamente dalla nostra opera. E invece, più spesso, la bellezza è ciò che si lascia al suo posto, crescere come vuole, nessuna interferenza e cambiamento imposto.
Esattamente come una promessa rispettata, senza nemmeno essere mai stata pronunciata. Perché parlare è superfluo, mentre essere è tutto. Perché le chiacchiere sono il più delle volte vuote, come uomini senza memoria e che stupiscono senza ricordare e sapere neanche il perché.
L'albero delle fate, si chiama così, ma non è magico. Appartiene a una natura dimenticata e sostituita da una natura artificiale, altro paradosso, fatta di tanti alberi tutti in fila, piantati dopo, distanti 3 metri l'uno dall'altro, tutti della stessa altezza, tutti dello stesso verde, con lo stesso numero di rami. È questa regolarità che piace all'uomo. L'uniformità nella quale il soggetto si perde in un oggetto molto più vasto di lui e indefinibile.
Invece, io non vorrei mai che il singolo dimenticasse la propria unica promessa, che è quella di essere se stesso. Dopo di che, non dovrebbe fare altro che nutrirsi e crescere.
L'amore... assomiglia molto a questa stessa promessa non detta, a un albero delle fate dimenticato.
Nulla di magico o di strano, ma non c'è nulla di paragonabile a ciò che è spontaneo e che cresce perfino nell'ombra, per conto proprio, malgrado e nonostante tutto.
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