Passa ai contenuti principali

Ventunesima lettera: fantasmi

Ce l'ho in mente già da qualche tempo questa lettera un po' strana, ma riesco a scriverla soltanto adesso che ho messo finalmente le idee a fuoco. Parla di fantasmi, questo però non vuol dire che abbia a che fare con la fantasia. Infatti, l'argomento è la corrispondenza, l'illusione e la disillusione. La prima è il fondamento sul quale qualsiasi relazione dovrebbe basarsi. È l'aspirazione a un rapporto paritario, un desiderio forse utopistico, in questo senso è un fantasma che non si è ancora manifestato. La seconda è il non voler considerare il fatto che il rapporto è impari, il fantasma prende forma ma l'idea che possa effettivamente esistere viene respinta. La terza è la presa di coscienza della mancanza di reciprocità, è il momento in cui il fantasma è scacciato e si dissolve.

Avevo 14 anni la prima volta che realizzai quanto per me sia indispensabile costruire relazioni alla pari con gli altri. Il mio migliore amico era un compagno di classe intelligente e con la battuta sempre pronta, un tipo brillante che aveva una voce sottile quando parlava, mentre con gli occhi minuscoli ti scrutava per capire se il proprio discorso fosse o meno convincente. Percepivo la sua tendenza preponderante a osservare se stesso nell'atto di esprimere i propri pensieri, piuttosto che prendere in considerazione il contenuto di ciò che diceva. Era un narciso in cerca di adulazione. Me ne resi presto conto, capendo che il nostro non sarebbe mai potuto essere un rapporto d'amicizia alla pari, corrispondente. Così finimmo per perderci di vista e il fantasma si dissolse.

Nel corso degli anni, ho convissuto con altri fantasmi, relazioni che hanno preso la forma dell'illusione. Ve ne sono state alcune che hanno avuto la lunghezza di una vita e riguardo le quali ho voluto respingere con forza - non chiedetemene i motivi, la spiegazione sarebbe troppo lunga e articolata - qualsiasi avvisaglia di verità. Il fatto è che può capitare di ritrovarsi a fare una passeggiata, mano nella mano, con qualcuno che neanche è presente, che se ne sta con la mente altrove, a chilometri di distanza. Non sto parlando di semplice distrazione, cosa che può succedere a chiunque di noi, ma precisamente della mancanza di corrispondenza: di aspirazioni ed esigenze, desideri e modi per sentirsi realizzati che sono lontani anni luce dai nostri.

A volte è stato necessario molto tempo prima di capire, altre è bastato un secondo per disilludermi e perché il fantasma svanisse. Altre ancora, questa stessa disillusione non è stata sufficiente a disperdere immediatamente nemmeno l'ombra di ciò che l'aveva creata. La strada verso ciò che ci corrisponde  può essere più lunga di quanto si creda, spesso restiamo aggrappati a un'illusione perfino quando sappiamo essere  tale. 

E siamo portati a offrire, ancora una volta, l'ennesima possibilità, quasi fosse un regalo riservato ad altri, ma si tratta invece, come sempre, della nostra stessa futile speranza di sentirci amati, l'illusione che ritorna, l'ultima chance, che invero diamo a noi stessi, di raccogliere i pochi resti di ciò che abbiamo seminato e che non vogliamo lasciare marcire o, stupidamente, il tentativo di convincerci di non aver sprecato il tempo, come se quest'ultimo fosse per davvero circoscritto all'orologio che portiamo al polso e non fosse invece la semplice dimensione nella quale ordiniamo le nostre azioni. 

E' difficile rinunciare perfino alla scelta sbagliata che abbiamo compiuto, al percorso che abbiamo intrapreso da molto tempo, mano nella mano con qualcosa o qualcuno che non esiste ma che abbiamo creato noi stessi, nel tentativo di dare forma a un'idea, dipingendola con i colori che più ci piacevano. Dirigersi verso l'ideale, andare nella direzione di ciò che ci corrisponde e può renderci felici, può essere lungo e complicato, ma sono sinceramente convinto che valga la pena scacciare il fantasma e incamminarsi su una nuova strada. 

Commenti

Post popolari in questo blog

La partita sul terrazzo

Il muretto sarà alto un metro e mezzo al massimo. È per questo che il pallone con cui giochiamo a calcio sul terrazzo è sgonfio. Perché non rimbalzi troppo, con il rischio che vada a finire di sotto e colpisca qualcuno di passaggio. È pur vero che di persone ne passano poche sotto casa in questi giorni e comunque è capitato, alcune volte, che la palla finisse in strada. È andata sempre bene, per fortuna. Il pallone che usiamo per giocare sul terrazzo non lo abbiamo sgonfiato apposta. È bucato. Lo aveva morso il nostro cane Spot a Villa Borghese, qualche tempo prima che ci chiudessero tutti in casa. Non so perché non lo avessimo buttato via subito, quel giorno. Adesso in ogni caso ci serve, per il motivo che ho detto.  Il terrazzo non lo abbiamo mai frequentato prima del coronavirus, i miei figli non c'erano mai stati. È uno di quei posti che appartengono a tutti i condòmini e che, proprio per questo motivo, non sono di nessuno, perché nessuno ha bisogno di andarci e tutti vog

Coronavirus: il lockdown e le ripercussioni sui figli minori dei genitori separati

Intervista all’avvocato Antonella Laganella, giudice onorario Corte d’Appello di Campobasso, sezione minori Riaprire o lasciare tutto ancora chiuso, ripartire insieme oppure a due o a tre velocità: mentre si discute sulle modalità di allentamento del lockdown e su come gestire la Fase-2 nell’ottica di un ritorno graduale alla normalità dopo l’epidemia, diventano sempre più problematici, a causa delle limitazioni agli spostamenti per contenere l’epidemia da coronavirus, i rapporti fra figli minori e i genitori non collocatari all’interno delle famiglie con coniugi separati. Ne parla all‘Adnkronos l’avvocato Antonella Laganella, giudice onorario della Corte d’Appello di Campobasso, sezione minori, che sottolinea quanto le misure urgenti adottate dal Governo abbiano inciso sui rapporti fra figli e genitori non collocatari. "Le conflittualità tra ex coniugi si sono intensificate - spiega l’avvocato Laganella - di pari passo con la crescente incertezza sull’interpretazione d

Quando siamo costretti ad ascoltare un racconto sbagliato

Una delle peggiori forme di violenza che può capitarci di subire è il racconto sbagliato di ciò che ci accade. Trovo delittuoso - non ho altri termini per definire qualsiasi tentativo di mistificazione - il voler far passare una cosa per un'altra, appositamente, come se fossi tu a non capire e a non renderti conto di ciò che hai intorno: essere trattato, in una parola, come uno scemo. Sono incapace di tollerare che si scambi la verità con la finzione, non riesco a concepire la possibilità di intercambiabilità dell'una con l'altra, con la prima che diventi falsità e la seconda assurga a Verbo e a voce di Dio o, più semplicemente, a resoconto puntuale. Eppure, sono molti a credere alle chiacchiere, a farsi soggiogare più dal suono delle parole, che ad ascoltarle criticamente, cercando di coglierne il significato. La voce, spesso, ha più peso della sostanza che una frase esprime: siamo più ascoltatori di suoni che di significati. E chi parla, spesso, si sente e si pone su