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Se figlio e papà sono amici (e non 'soci')

Pubblico di seguito lo scambio di idee, sul tema dell'amicizia fra genitore e figlio, avuto con il presidente dell'Istituto di studi sulla paternità Maurizio Quilici dopo la mia risposta al suo editoriale 'Mammo? No, grazie!' apparso sul numero 4/2009 di ISP notizie.

Maurizio Quilici: Il tema è talmente complesso e articolato che a sua volta il tuo scritto mi stimolerebbe a inviartene un altro con osservazioni e riflessioni. Il termine "amicizia", per esempio, richiederebbe da parte mia alcune importanti (per me e per te) precisazioni, poiché nel mio editoriale lo spazio non mi permetteva di essere troppo selettivo. Dirò solo che la mia contrarietà alla "amicizia" riguarda non tanto una forma di amicalità quale può esserci "in verticale" (si pensi all'amicizia - senza vincoli di parentela - fra una persona matura, o anziana, e un ragazzo, fra un docente e un discente...), ossia ad una amicizia nel quale il rapporto stesso si esprima su due piani diversi, ma a quella di chi è "compagno". Il mio disaccordo va piuttosto ad un rapporto di tipo orizzontale, quale può esserci, per esempio, fra compagni di classe. Purtroppo, non esistendo un corrispettivo di "compagno" come esiste per "amico" "amicizia" (il termine più appropriato che mi viene in mente è "sodalità") e soprattutto usandosi comunemente (e a mio avviso impropriamente) la parola "amicizia" per entrambi i tipi di rapporto, mi è talvolta complicato formulare la distinzione. L'ho fatto quando le circostanze - un articolo senza limiti di spazio, una conferenza... - me lo consentivano.
Un bell'argomento, non c'è che dire...

Cristiano Camera: Quanto al termine amicizia, avevo intuito che quando dici che non vedi di buon occhio quella fra genitori e figli, ti riferissi a qualcosa come la sodalità, il sodalizio, l'associazione fra loro: è chiaro, genitori e figli non possono essere soci o, peggio, complici, sempre e in ogni caso. Ma ciò che intendo io per amicizia, come ti ho scritto, non è accondiscendenza e sodalità, ma al limite solidarietà e anche criticità. Per come la vedo io, un vero amico ha il diritto-dovere di rimproverare il suo amico quando si accorge che questo sta sbagliando. Anche al costo di perdere l'amicizia stessa.
Credo che su questo eventuale tipo di amicizia fra genitori e figli ti troverai d'accordo, così come sono d'accordo io con te nel giudicare nefasta un'amicizia sodale. Non sono sicuro, tuttavia, del fatto che il tipo di amicizia che io intendo sia necessariamente verticale, così come sono certo che quella fra compagni non sempre sia orizzontale. Anzi, spesso chi è sodale con chi sbaglia si pone, spesso furbescamente, su un piano più elevato dell'altro, inaugurando un tipo di rapporto impari. Allo stesso modo, in un rapporto verticale, per esempio fra un docente e un discente dalle mentalità aperte anche alla reciproca critica, le istanze dell'uno e dell'altro sono talmente visibili e ben accette che difficilmente esso può essere definito come 'rapporto verticale' in senso stretto, dove esiste un vertice e una base. A volte, quando esistono certe condizioni di apertura mentale, esso si trasforma in un rapporto paritario, dunque orizzontale, anche se c'è chi ne sa di più.
Direi, a questo punto, data anche la mancanza di fissità nella relazione di amicizia e il suo continuo trasformarsi da verticale in orizzontale e viceversa, che lo schema geometrico che rappresenta al meglio questo tipo di relazione sia una linea obliqua, una sorta di retta cartesiana che nasce dalle due assi di genitore e figlio.
Insomma, per farla breve, io sono per un approccio dialogico anche fra genitori e figli: come ho scritto nell'articolo 'Se figlio e papà sono amici', io non riesco a prescindere da questa condizione, così come nell'amicizia non posso fare a meno dell'elemento della reciprocità. Reciprocità che mi aspetto anche dal figlio.

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