Quella della paternità è una questione complessa e sfaccettata, non racchiudibile nel clichè del padre assente o del "mammo". In Storia della paternità. Dal pater familias al mammo, da oggi in libreria, Maurizio Quilici, giornalista che da anni si occupa dell'argomento e presidente dell'ISP (Istituto studi sulla paternità), ha analizzato più di quattromila anni di storia alla ricerca dei diversi significati che questa figura ha assunto nel tempo: dalla mitologia greca al ruolo misterioso che ricopriva nella cultura etrusca, dalla centralità nell'antica Roma alla modificazione della sua funzione sociale col cristianesimo, dalla nuova educazione illuminista alla nascita della psicoanalisi e del 'complesso di Edipo' fino al Novecento con le contestazioni giovanili, l'emancipazione femminile e la recente 'rivoluzione paterna'.
"E’ una ricerca corposa ma, spero, di piacevole lettura - afferma Quilici -, che può dare molte informazioni a chi si occupa a vario titolo di paternità e offrire numerosi spunti di riflessione, psicologica, giuridica, sociale. Le 'Storie della paternità' pubblicate in Italia sono poche, hanno un taglio molto particolare (psicoanalitico, antropologico…) o, se storiche, sono limitate ad un particolare aspetto (ad esempio l’autorità). Non sempre, inoltre, riflettono la storia del nostro Paese. Per questo credo di poter affermare che il libro affronta il tema in un’ottica nuova".
"E’ una ricerca corposa ma, spero, di piacevole lettura - afferma Quilici -, che può dare molte informazioni a chi si occupa a vario titolo di paternità e offrire numerosi spunti di riflessione, psicologica, giuridica, sociale. Le 'Storie della paternità' pubblicate in Italia sono poche, hanno un taglio molto particolare (psicoanalitico, antropologico…) o, se storiche, sono limitate ad un particolare aspetto (ad esempio l’autorità). Non sempre, inoltre, riflettono la storia del nostro Paese. Per questo credo di poter affermare che il libro affronta il tema in un’ottica nuova".
Un viaggio appassionate e singolare, dunque, nella tradizione culturale europea, riletta alla luce del pater familias: a volte affettuoso genitore, altre padre-padrone, complice o antagonista dell'altra metà del cielo. Ma sempre, per assenza o eccessiva presenza, una figura fondamentale con cui fare i conti. Un viaggio anche originale, dato che è ricchissima la letteratura sul rapporto madre-figlio e, invece, è molto più scarsa quella sulla relazione tra un padre e la sua prole. Elemento di spicco nell'organizzazione della famiglia e della società, un padre oggi deve necessariamente ripensare il proprio ruolo, essere capace di contrastare lo stereotipo materno secondo il quale i figli devono stare con la madre. Non solo fuori, ma, se necessario, anche dentro le aule dei tribunali.
Nominando i tribunali entri in un campo minato.
RispondiEliminaProprio l'altro giorno, scherzando, ho detto: la legge dovrebbe affidare i figli a chi non ha colpa del divorzio e, se la colpa non c'e, toglierlo ai divorziati e affidarlo a un'altra famiglia o a un'istituzione per orfani legali.
Che ne pensi degli "alberghi" per divorziati, con cella monastica e mensa per sopravvivere con stipendio azzoppato dall'assegno per alimenti?
Caro Raffaele, il tuo commento offre lo spunto per diverse considerazioni: 1) credo che la legge oggi sia più equilibrata di un tempo, tendendo ad affidare i figli ai due genitori (dunque anche al padre), in modo condiviso. Ci sono delle eccezioni, ovviamente, ma ciò che importa è il motivo ispiratore della legge: la bigenitorialità, ovvero il riconoscimento delle due figure, materna e paterna, la cui presenza viene considerata come riferimento insostituibile per il bambino.
RispondiElimina2) Scherzi a parte, nessuna istituzione può sostituire i genitori e nemmeno uno di essi. Le 'colpe', come le chiami tu, dei genitori che divorziano non dovrebbero essere pagate dai figli ed essi dovrebbero essere tenuti il più possibile lontani e salvaguardati dalle loro beghe. Perchè ciò avvenga, me ne rendo conto, è necessaria un grande dose di responsabilità da parte dei genitori stessi.
3) Non credo nel 'fallimento' del matrimonio perchè non credo nella promessa di amore 'eterno'. Di conseguenza, non credo nella fine di una convivenza per 'colpa'. Credo invece che una relazione fra due persone che si amano abbia senso finchè esiste il presupposto stesso dell'amore. Mentre quando questo viene meno, la cosa migliore è lasciarsi. Senza colpe di nessuno però e, se possibile, con grande maturità nel gestire la fine del rapporto.
4) Quella delle condizione di molti genitori divorziati, soprattutto i padri, è una nota dolente: nello stabilire l'entità dell'assegno di mantenimento e nel decidere a quale dei due ex coniugi debba andare la casa dove essi risiedevano durante il matrimonio, il giudice dovrebbe accertarsi che entrambi i genitori, non soltanto uno dei due, continui a mantenere un livello economico di vita il più possibile simile a quello di cui godevano prima del divorzio. Purtroppo qui la bilancia pende ancora troppo dalla parte del genitore affidatario, a cui viene garantito lo stesso tenore di vita di prima del divorzio, ai danni del genitore non affidatario. Il quale, per rispettare la decisione del giudice, spesso si riduce a condurre una vita da senza tetto.
A presto, Cristiano
grazie, Cristiano, anche per le 4 considerazioni a margine che condivido in pieno. Il libro l'ho già adocchiato, planerà sul comodino nei prossimi giorni. Intanto, forse te l'avevo già detto e allora mi ripeto volentieri, il tuo blog è uno dei migliori in circolazione: come direbbe qualcuno, non perdiamoci di vista! Ciao.
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