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Ali

Ci ho già riflettuto altre volte, ma ultimamente mi capita di pensarci sempre più spesso: di fuggire dall'Italia, dal Belpaese che non trovo più bello. L'idea potrà sembrare banale, lo so, ma banale non è. Lasciare ciò che si è fatto con fatica, una casa, un lavoro, gli affetti, non è facile da mettere in pratica: è per questo che tante volte lo diciamo e mai lo facciamo veramente. Ma per il bene di un figlio, stavolta, dovremmo finalmente prenderla questa benedetta e maledetta decisione. Perché del baratro dove è precipitata la nostra nazione non riesco a vedere la fine. E ho l'impressione, anzi la certezza, che non basterà nemmeno l'arco di tempo di una nuova generazione (quella di mio figlio, appunto) a cambiare le cose.
Non si risolleverà l'Italia del sistema metastatizzato dalla corruzione, dall'abuso del potere, dal velinismo, dalla politica da star-system, dal sanremismo, dal tangentismo, dalle raccomandazioni e dall'evasione fiscale. Non si salverà l'Italia mafiosa, quella dove non è necessario affiliarsi, ma dove è sufficiente fare un abbonamento con una compagnia telefonica per collidere con interessi altro che a banda larga...di più, molto di più, ché qui parliamo di bande radicate ovunque e che operano in ambiti inimmaginabili. Non si salverà l'Italia a reti unificate, l'Italia a quotidiani allineati, l'Italia che ha fatto del giornalismo un cane da compagnia. Morirà l'Italia a poteri unificati, sintetizzati in un Esecutivo a cavallo per il quale le toghe dovrebbero servire soltanto da tappeto su cui galoppare. Non sarà facile ricostruire l'Italia con una Protezione Civile dedita alle puttane (pardon, oggi si dice excort o massaggiatrici) e che paga con commissioni-appalti i papponi (pardon, oggi si dice imprenditori) che gioiscono ogni volta che la terra trema.

In un tale Belpaese, mio figlio probabilmente sarà compagno di giochi, di scuola, di università, di affari o dipendente di, insomma dovrà avere relazioni con altri figli nati in un sistema ammalato, canceroso, che avrà infettato ogni organo vitale che ne fa parte. Gli amici di mio figlio saranno i figli anche di chi, per sopravvivere, si sarà darwinianamente adattato al “così va il mondo, che vuoi farci?!”. Mio figlio stesso, per avere qualche chance, forse dovrà possedere lo stesso spirito di adattamento dei suoi simili. Sarà un corrotto che corromperà a sua volta? Oppure sarà un moralista sfigato e solitario, un uomo povero che, proprio perché non avrà mai voluto rubare, si sarà impoverito. Un uomo povero nelle tasche ma ricco nello spirito, direte voi. Ma oggi, di una persona così, che te ne fai. E quale velina di domani lo degnerà mai di uno sguardo?
Detto questo, torno all'idea di partenza: quella di munirmi di un paio di ali per fuggire lontano, in qualche posto che ancora non conosco ma dove le parole democrazia, uguaglianza della giustizia, stesse opportunità per tutti e certezza della pena abbiano ancora un senso. Non mi aspetto di trovare un luogo perfetto, ma uno, almeno, non tanto imperfetto come quello dove mi ritrovo a vivere. Un posto dove mio figlio possa crescere senza troppi cattivi esempi o, almeno, con qualcuno buono. Ecco: il mio luogo ideale dove volare è una nazione dove i nomi abbiano un significato ben preciso, anche se scritti e pronunciati in un'altra lingua. Dove le parti assegnate nel copione della vita siano rispettate. Dove i cowboy fanno i cowboy e gli indiani gli indiani. Dove i cattivi fanno i cattivi e i buoni i buoni. Dove le puttane fanno le puttane e le massaggiatrici le massaggiatrici. Dove gli imprenditori fanno gli imprenditori e non i papponi, gli 'ndranghetisti gli 'ndranghetisti e non gli industriali, i mafiosi i mafiosi e non i politici.
Insomma, un paio di ali mi servirebbero per volare e per fare un po' di ordine, a cominciare dalle parole. Vorrei prendere il volo, prima o poi, per mio figlio, soprattutto per lui. Perché quando dovrà farlo, possa avere per davvero la possibilità di scegliere da che parte stare, non mi importa se da quella dei cowboy o da quella degli indiani: mi interessa soltanto che per lui la possibilità di scegliere sia concreta e non fittizia o confusionaria. Soprattutto, vorrei che in un mondo differente i cavalieri cavalcassero cavalli in carne e ossa, non cavalli di Troia, con tutto il sangue e il dolore che stratagemmi siffatti solitamente arrecano.

Commenti

  1. e se invece tessessimo leggeri fili che uniscono genitori e figli e genitori e genitori e figli e figli.
    Se invece sognassimo un Paese nuovo perché noi non ci pieghiamo. Se invece noi crescessimo cittadini responsabili che possano avere una chance.
    Qualche giorno fa leggevo un intervento di Sandro Veronesi mi pare su Repubblica dove distingueva la rivoluzione dalla sovversione: ovvero ribaltare le cose standoci dentro. Se noi "onesti" ce ne andiamo, chi resta? Un giardino zoologico fatto di papponi e mignotte?! Questo dobbiamo chiederci: se mio padre e tuo padre, se mio nonno e tuo nonno si meritano questa mmmmmmerda.
    Lo so, Cristiano, ne abbiamo parlato anche di là da me. Che altro aggiungere?
    Ridico che i "legami", la tessitura dei fili, mi pare una bella, necessaria immagine.

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  2. Sono d'accordo con Desian, anche a me, come a molti (almeno lo spero), capita spesso di pensare ad una via di fuga da un'Italia nella quale non solo non mi riconosco, ma non voglio neppure riconoscermi. Mi sono anche sorpresa a consigliare a mio figlio ventiseienne di valutare seriamente la possibilità di trasferirsi all'estero. Quello che mi trattiene qui, però, è che in questo modo dichiarerei che hanno vinto loro, che il "caimano" finisce proprio come nel film, che gli abbruzzesi che spalano il centro della città dalle macerie sono solo marionette che "servono al sistema", che i vari e coraggiosi Saviano sono soli, che i cittadini di Rosarno hanno fatto bene a "difendere" il loro territorio. Io credo che se Dodokko avrà imparato da suo padre che la mattina si deve guardare allo specchio per radersi e che dovrà riuscire a farlo senza vomitare, allora per l'Italia una speranza rimane. Infine credo che se i padri costituenti fossero partiti in massa, anzicchè fare la Resistenza, non ci troveremmo neppure nella possibilità di pubblicaare i nostri pensieri qui, come stiamo facendo.

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  3. Caro Desian, nell'articolo che citi Veronesi parlava di sovversione come "piazzarsi nel cuore del sistema e da lì, senza uscirne, cominciare a bombardarlo. Significa sputare sul piatto in cui si mangia, e anche, se necessario, segare il ramo su cui si è appollaiati". E riferiva questa idea all'atto di demolire le statue che gli adolescenti, diderottianamente, si costruiscono e che fanno loro da modelli. La sovversione sta nel distruggere queste statue per scolpire un mondo nuovo, senza modelli precedenti. Non è impresa da poco, né priva di possibili conseguenze, ovunque questo accada. Qui da noi poi sarebbe un'impresa notevole, addirittura eroica. Mio figlio sarà libero di assegnare a se stesso il proprio ruolo nel mondo, al limite anche di fare l'eroe. Nel qual caso, non lo dissuaderò, ma nemmeno lo inviterò a farlo.
    Cara Lella, te lo dico con cognizione di causa: i blog sono una delle ultime frontiere dove è possibile esprimersi liberamente. Questo la dice tutta sulle altre vie, quelle tradizionali, oramai divenute impraticabili, soprattutto da noi.

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  4. Dammi l'indirizzo del paese dove ti puoi fidare di una persona solamente sulla sua parola, dove la gente si rapporta con rispetto, curiosità e compassione, dove tutti girano in bicicletta o a cavallo, e dove la libertà di essere "diverso" in qualsiasi modo sia considerata una ricchezza preziosissima. Poi ci possiamo tutti far crescere le ali e volare lì insieme.

    Per ora sto' qui, rispondo che sono "BRESCIANA!" quando mi chiedono di dove sono, faccio del mio meglio per mantenere la mia coscienza quanto più possibile pulita, e aiuto mio figlio a crescere serenamente con un piede nel suo mondo interno e uno nel mondo esterno. Nonostante tutte le porte in faccia e le fregature e le delusioni e ... e ... e ...

    Perchè il mare è fatto di tante tante goccie individuali di acqua, no?!?!

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  5. Ciao Velia, non ce l'ho l'indirizzo, anche perché probabilmente un paese così non esiste. Sono certo però dell'esistenza del nostro paese, totalmente diverso da un posto ideale. E' vero: il mare è fatto da tante gocce. Soltanto, ultimamente, mi pare che il nostro paese assomigli più al Lambro e al Po, che a un mare decente.
    A presto, Cristiano

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