Da qualche giorno noto che Dodokko è più felice quando l'accompagno all'asilo dell'obbligo. Non solo si è “rassegnato” all'inevitabile, come avevano predetto le sue maestre, ma a volte mi sembra addirittura contento di andarci. Credo di conoscere il motivo di questa inattesa felicità: è il dvd con i suoi cartoni animati preferiti che ultimamente vuole portare con sé a scuola. Ogni mattina a casa ne sceglie uno che poi mostrerà ai suoi compagni. Lo infiliamo nello zaino e, appena arrivati a destinazione, cerca la maestra per annunciarle la novità del giorno e non la molla finché lei non gli promette che, dopo pranzo, farà vedere alla classe i cartoni che ha portato.
Anche se è ancora l'unico, fra i tanti bambini presenti, ad avere quello sguardo triste nel momento del distacco dal genitore, non riesco a fare a meno di pensare, contento per questo, a quanto Dodokko sia diventato intraprendente. Ha piacere che si faccia una cosa e lo chiede, diversamente da come accadrebbe a me, senza imbarazzo. Non solo: ciò che gli piace vuole condividerlo con gli altri, fatta salva, probabilmente, la legge sul copyright. E' lui, infatti, il bambino che ha portato il dvd in classe e credo che la maestra questo lo dica quando ne annuncia agli altri la visione: sentendo pronunciare il proprio nome, ne sono certo, Dodokko si sente anche orgoglioso.
Stamattina tutto è scorso liscio: Dodokko ha bevuto il latte, ci siamo preparati abbastanza velocemente, ha scelto il cartone animato e ci siamo presentati in classe, in leggero ritardo come al solito, gli altri bambini che già stavano mangiando la frutta. Senza esitare, ha dato il dvd alla maestra. Poi ho preso in braccio mio figlio e l'ho 'consegnato' all'insegnante. Ci siamo guardati per un secondo appena mentre ci salutavamo, senza sorrisi da parte sua, ma anche senza lamentarsi. Infine, ormai sulla soglia, ho commesso l'errore di raccomandargli di “mangiare tutta la frutta”. Improvvisamente, senza avvisaglie, è scoppiato in lacrime. Sono tornato indietro, senza capire immediatamente. Gli ho domandato cosa fosse successo e mi ha risposto: “Non la voglio la frutta”. “E allora non mangiarla”, gli ho detto subito nel tentativo di arginarne immediatamente la crisi.
Dodokko ha smesso di piangere e io me ne sono andato. Ho riflettuto e ora credo di aver capito il motivo della sua improvvisa infelicità dopo alcuni episodi di inattesa felicità: mio figlio ha voluto mostrarmi di essersi adattato a frequentare l'asilo, ne ha individuato un possibile lato piacevole e addirittura ha trovato un buon motivo per andarci. Ma il padre non ha compreso immediatamente che la felicità del figlio non era una felicità spontanea, ma solamente il risultato dello sforzo, compiuto da lui negli ultimi mesi, per superare la propria infelicità. Dodokko ha dato di più di quanto potesse: ha voluto mostrarmi il suo nuovo approccio verso la scuola, sapendo che questo mi avrebbe reso contento, ma in realtà si trova ancora sulla linea di confine fra la felicità e l'infelicità, anche adesso che la mattina mostra di essere di buon umore. E' bastato infatti chiedergli di compiere l'ennesima prova, una cosa 'facile' come mangiare la frutta, perché tutta la sua impalcatura crollasse.
Oltrepassare il confine dell'infelicità non è semplice per nessuno. Fingere di riuscirci potrebbe essere un primo tentativo per farlo oppure un modo per convincersi di poterci riuscire. Ma quelle di un bambino restano gambe troppo corte, perfino per simili scorciatoie.
Anche se è ancora l'unico, fra i tanti bambini presenti, ad avere quello sguardo triste nel momento del distacco dal genitore, non riesco a fare a meno di pensare, contento per questo, a quanto Dodokko sia diventato intraprendente. Ha piacere che si faccia una cosa e lo chiede, diversamente da come accadrebbe a me, senza imbarazzo. Non solo: ciò che gli piace vuole condividerlo con gli altri, fatta salva, probabilmente, la legge sul copyright. E' lui, infatti, il bambino che ha portato il dvd in classe e credo che la maestra questo lo dica quando ne annuncia agli altri la visione: sentendo pronunciare il proprio nome, ne sono certo, Dodokko si sente anche orgoglioso.
Stamattina tutto è scorso liscio: Dodokko ha bevuto il latte, ci siamo preparati abbastanza velocemente, ha scelto il cartone animato e ci siamo presentati in classe, in leggero ritardo come al solito, gli altri bambini che già stavano mangiando la frutta. Senza esitare, ha dato il dvd alla maestra. Poi ho preso in braccio mio figlio e l'ho 'consegnato' all'insegnante. Ci siamo guardati per un secondo appena mentre ci salutavamo, senza sorrisi da parte sua, ma anche senza lamentarsi. Infine, ormai sulla soglia, ho commesso l'errore di raccomandargli di “mangiare tutta la frutta”. Improvvisamente, senza avvisaglie, è scoppiato in lacrime. Sono tornato indietro, senza capire immediatamente. Gli ho domandato cosa fosse successo e mi ha risposto: “Non la voglio la frutta”. “E allora non mangiarla”, gli ho detto subito nel tentativo di arginarne immediatamente la crisi.
Dodokko ha smesso di piangere e io me ne sono andato. Ho riflettuto e ora credo di aver capito il motivo della sua improvvisa infelicità dopo alcuni episodi di inattesa felicità: mio figlio ha voluto mostrarmi di essersi adattato a frequentare l'asilo, ne ha individuato un possibile lato piacevole e addirittura ha trovato un buon motivo per andarci. Ma il padre non ha compreso immediatamente che la felicità del figlio non era una felicità spontanea, ma solamente il risultato dello sforzo, compiuto da lui negli ultimi mesi, per superare la propria infelicità. Dodokko ha dato di più di quanto potesse: ha voluto mostrarmi il suo nuovo approccio verso la scuola, sapendo che questo mi avrebbe reso contento, ma in realtà si trova ancora sulla linea di confine fra la felicità e l'infelicità, anche adesso che la mattina mostra di essere di buon umore. E' bastato infatti chiedergli di compiere l'ennesima prova, una cosa 'facile' come mangiare la frutta, perché tutta la sua impalcatura crollasse.
Oltrepassare il confine dell'infelicità non è semplice per nessuno. Fingere di riuscirci potrebbe essere un primo tentativo per farlo oppure un modo per convincersi di poterci riuscire. Ma quelle di un bambino restano gambe troppo corte, perfino per simili scorciatoie.
Bellissimo questo pezzo. Chi non ha figli forse non può capire in che modo i sentimenti di un padre possano diventare complicati.
RispondiEliminaSì, è molto complicato accordare i sentimenti di tutti: quelli di un padre, quelli delle madri, quelli dei bambini. E' però altrettanto buona palestra di vita quella di soffermarsi a sentire quegli stessi sentimenti, soppesarli come un piccolo sasso chiuso nella mano. Da quel peso minimo e levigato possiamo trarre molti più insegnamenti di quelli che sembrano possibili.
RispondiEliminaIl problema, credo, sta nel ritardo con cui ci accorgiamo delle cose e la frequente mancanza, inevitabile, della sintonia. E anche la spesso assente com-passione. Arrivare in ritardo, anche per un solo secondo, a comprendere i sentimenti degli altri può compromettere facilmente qualsiasi bella giornata.
RispondiEliminaa me sembra che questo racconto sia alquanto romanzato! i bambini sono esseri molto semplici a cui basta poco per essere felici o scontenti, perchè non sono mai infelici in quanto non hanno motivi per esserlo. I bambini non hanno problemi da affrontare ma solo conquiste da raggiungere e ogni giorno ne raggiungono almeno una. molto probabilmente quello che tu prendi per un motivo di infelicità è solo un attimo della giornata un pò storto e nulla di più. Secondo me dovresti considerare la vita di un bambino con i suoi occhi e non con quelli di un adulto che spesso pensa troppo!!!
RispondiEliminaAntonella
Ciao Antonella, i bambini "non sono mai infelici in quanto non hanno motivi per esserlo" mi sembra una posizione poco sostenibile almeno quanto la frase: "i bambini sono sempre felici" e davvero non vale la pena che su questo mi dilunghi troppo.
RispondiEliminaInvece, qualcosa voglio dire su "i bambini non hanno problemi da affrontare": ne hanno e tanti e grandi e - spero - sempre proporzionati alla loro età. Le conquiste, di cui parli tu, passano dal superamento dei problemi quotidiani. E per ogni piccola conquista "ogni giorno" si sono lasciati alle spalle settimane o mesi di problemi. L'infanzia non vive nel mondo di Candido, non è il momento della spensieratezza e nemmeno troppo dell'allegria: siamo noi adulti a ricordarla così, alla luce dei nostri guai presenti. Facciamo un paragone fra 'adesso' e 'allora' ma sbagliamo sempre: "Guarda che guaio questo lavoro - diciamo - o che casino il rapporto con quella persona. Quando ero bambino invece...". Dimentichiamo, però, che quando i problemi erano piccoli eravamo piccoli anche noi di fronte a essi. Non eravamo gli adulti di oggi davanti ai problemi di allora. Gli adulti che oggi hanno superato quei problemi e oggi li hanno addirittura dimenticati o rimossi.
Allora, detto questo, chi è che guarda i bambini con gli occhi dell'adulto, io oppure tu?
è vero quando i problemi erano piccoli eravamo piccoli anche noi, ma tra l'affrontare un problema che porta ad una conquista e l'infelicità c'è una grande differenza. Allora cosa dovrebbero dire i bambini maltrattati e sfruttati o quelli che subiscono abusi di ogni tipo? quelli si che sono infelici, non credi???
RispondiEliminacomunque adesso che sono zia capisco che l'amore verso i figli/nipoti è qualcosa di viscerale e incondizionato che forse ci fa sebrare quello che vediamo più di ciò che sembra. Per me i bambini restano dei esseri semplici......
Antonella
Cara Antonella, quelli dei bambini maltrattati, sfruttati e abusati sono problemi di dimensioni addirittura sproporzionate, da cui deriva un'infelicità indescrivibile. I momenti di infelicità - lo ribadisco - colpiscono tutti, anche i bambini, che non sono affatto "semplici", ma individui complessi, a volte felici e a volte no.
RispondiEliminaPer superare il giudizio che, secondo te, nei genitori è basato più su 'ciò che sembra loro' che su 'ciò che oggettivamente è', ho cercato, in modo asettico, sul dizionario il termine 'infelicità' e 'infelice' (su questo sito c'è una funzione che permette di vedere il significato delle parole che ci sono scritte facendo doppio clic su di esse). La definizione di infelicità è: "Stato di sofferenza, di afflizione, di chi non è felice"; quella di infelice è : "Che non è felice, che è afflitto da dolori, avversità, insoddisfazioni e sim; Caratterizzato da sventure, dolori, infelicità".
Davvero credi che i bambini non abbiano di questi sentimenti?
PS: La scorsa settimana sui giornali c'era un articolo nel quale si parlava della scoperta del dolore e della sofferenza dei pesci. Una notizia rivoluzionaria, non ti pare, aver trovato la prova del loro dolore! Prima si pensava che i pesci non soffrissero. Dato che sono animali semplici...