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Fosse per loro, non la smetterebbero mai di giocare...


Ho sentito tante di quelle volte dire questa frase assurda: "Fosse per loro, non la smetterebbero mai di giocare". Come se i bambini non avessero questo diritto o dovessero avercelo per un periodo limitato di tempo: una frazione compatibile con le esigenze dei grandi, una concessione che ha un inizio e una fine prestabiliti. Mi sono chiesto cosa sia il gioco e guardando mio figlio ho capito che non è soltanto divertimento. Molto più spesso il gioco per i bambini è un pretesto per astrarsi, per evadere dalla realtà, dalle determinazioni, per creare un universo nuovo, frutto della fantasia, molto più bello e interessante di quello reale.
Ma sulla parola 'reale' voglio correggermi subito: chi ha detto che il nostro mondo, quello degli adulti, è più reale di quello inventato dai bambini nei loro giochi? Fino a che punto i grandi hanno il diritto di interrompere certi sogni piacevoli per far precipitare i più piccoli in dimensioni molto più ristrette di prima? Chi ci ha dato il diritto di ridimensionare, appunto, la realtà, di normalizzare, di far rientrare nei ranghi il prossimo? Dovremmo rispettare di più chi gioca, concedere (che brutta parola!) tutto il tempo che si desidera a chi è capace di fantasticare, non mettere fretta, non inquadrare subito.
C'è tempo, ci sarà tempo per smettere di giocare. Fosse per me, ricomincerei fin da ora e ogni tanto mi succede di farlo, con mio figlio. Ma, diversamente da lui, il mio giocare non è un'astrazione. E' più una brutta imitazione dei suoi giochi che altro, perché la mia mente resta con i piedi piantati nel posto dove mi trovo: so di giocare, ma so anche che sto fingendo e so che non volo veramente verso mondi nuovi assieme a mio figlio e che in questo viaggio lui è solo. Ma so anche che lui mi immagina con sé e questo mi rende contento.
Fosse per loro, non la smetterebbero mai di giocare. Fosse per me, neppure. Ma, davvero, non dipende più da me, ormai, questa mia incapacità di farlo.

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