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La neve


Fu forse la mia lettura preferita quando ancora ero uno studente della scuola media: una storia a fumetti della vita di Napoleone Bonaparte. Un volume misteriosamente scomparso dalla mia biblioteca e a cui ero molto affezionato per un'unica immagine: il futuro imperatore ancora bambino, rinchiuso nel collegio militare di Brienne, che guarda assorto da una grande vetrata i fiocchi di neve che cadono lenti sul cortile della scuola, imbiancandone il pavimento e gli alberi. Lo sfondo, invece, tremendamente scuro nella notte.
Ricordo con grande nostalgia questa scena, la sola che mi sia rimasta in mente di tutto il libro, per alcuni motivi: la solitudine - di cui mi resi conto - che circondava il giovane Napoleone, il divieto di andare a giocare con la neve, la rigidità attorno a lui, non dovuta alla temperatura esterna, ma alle regole inflessibili del sistema educativo a cui il padre lo aveva consegnato all'età di dieci anni e a cui il bambino dovrà sottostare per cinque lunghissimi anni.
Rammento alla perfezione il viso del piccolo generale schiacciato contro il vetro gelido di una possibilità cancellata, di una realtà insormontabile. Soprattutto non dimentico la solita grande capacità di concentrazione che hanno i bambini: se il loro sguardo è rivolto verso la neve, tutto il resto che c'è intorno a loro cessa improvvisamente di esistere, si sgretola in un attimo. Da un certo momento in poi, per loro c'è solamente la neve ed essi stessi diventano la neve, con tutto il carico di conseguenze che a volte ciò comporta: desideri infranti, sogni spezzati, speranze vane, illusione/delusione, precipizi senza fine.

Qualche settimana fa siamo andati con Dodokko sulla neve per due giorni. In un solo week end ho visto mio figlio trasformarsi, da incerto camminatore quasi treenne quale era in un abile scalatore. Abbiamo fatto due pupazzi, uno con il cappello nero e uno ispirato a Paperino e ho seguito il suo consiglio di usare i guanti per loro realizzazione, “perché sennò prendi freddo”. Al termine della giornata di sabato, tornati in albergo, la sera ha iniziato improvvisamente a nevicare: ci siamo messi di fronte al davanzale e ho preso mio figlio in braccio per consentirgli di assistere meglio allo spettacolo. Il cielo era nero di notte, ma i fiocchi erano meravigliosamente candidi contro la luce dei lampioni. Parevano un regalo di Dio, la realizzazione di un desiderio qualunque, così tanti da sembrare elargiti a piene mani da un gigante buono, come presi da un pozzo infinito e distribuiti gratuitamente a chiunque li volesse.
Non so a quale sogno appena realizzato abbia pensato Dodokko, sempre che ne abbia avuto uno. Ciò che so è di aver riconosciuto in un istante i suoi occhi di neve e mi sono reso conto che quella nevicata era tutta per lui. Sono stato felice in quel breve, lunghissimo momento in cui il cielo nero si è tinto di bianco, perché ho avuto la certezza che lo sguardo assorto di mio figlio era talmente pieno di neve da non lasciare alcuna ipotesi di spazio ai precipizi senza fine.

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