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"Papà parla bene"

"Hai sentito cosa ha detto Dodokko?", mi chiama mio suocero, l'altra mattina, nel momento esatto in cui sto per aprire la porta di casa e uscire per andare al lavoro. Torno indietro e chiedo: "Che ha detto?". "Che papà parla bene", mi riferisce testualmente il nonno di mio figlio davanti a lui.
La cosa mi fa piacere, ovviamente, ma saluto di nuovo e vado via, mentre fra me penso a come possa fare un bambino di tre anni a distinguere se uno parla bene oppure male.
Rifletto ancora un po' su quella frase e alla fine giungo alla conclusione che ciò che Dodokko ha voluto dire veramente è che "papà (mi) parla (bene)". Ossia che noi, quando stiamo insieme, semplicemente passiamo molto del nostro tempo a parlare. E questo sì , invece, che il mio bambino lo sa.
Noi due parliamo sempre, di tutto, senza censure, senza risparmiarci con spiegazioni, commenti, analisi e risate. Non soltanto da parte mia, ma anche da parte sua. Siamo due veri interlocutori e tra noi non ce n'è uno maggiore e uno minore, uno che prevale e l'altro che soccombe, uno che ha sempre ragione e l'altro che ha sempre torto.
Siamo molto democratici, lui e io, e non solo conosciamo a memoria l'articolo 21 della Costituzione, ma lo mettiamo in pratica ogni giorno.
E' un riconoscimento, il suo, che mi ha commosso, soprattutto perché saper parlare vuol dire anzitutto sapere ascoltare molto bene. E io, come d'altronde lui - mi sembra - teniamo le orecchie molto ben aperte quando parliamo fra noi.

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