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Quel senso di abbandono che segna l'infanzia


Una lettrice mi ha scritto di recente: "Mi chiedo come rendere felici i miei figli, mi chiedo come evitargli quel senso di colpa e abbandono che ha segnato la mia infanzia". Le ho risposto: "Sta' loro vicino più che puoi e, quando non puoi, rassicurali, parla con loro, abbracciali". Non conosco  l'infanzia di questa persona e so che le mie sono parole insufficienti, ma non ne ho di migliori e me ne dispiaccio. Il senso di abbandono non è l'abbandono in sé, ma ciò che si sente come tale, sia da parte di chi lo mette in atto e sia da parte di chi lo subisce. Il senso di abbandono, il più delle volte, è un'interpretazione di un azione che commettiamo o che ci viene rivolta. Questo sentimento coinvolge e stravolge la nostra coscienza, così da farci sentire, a seconda dei casi, vittime o carnefici.
Ma se è vero che a un bambino non è richiesta una capacità di critica rispetto a ciò che gli accade e alle persone che ama, un'autocritica riguardo il loro rapporto con i figli è obbligatoria negli adulti, i quali dovrebbero senz'altro chiedersi se le loro azioni, nei confronti dei loro bambini, siano effettivamente di vero abbandono. Insomma, penso che un bambino abbia il diritto di sentirsi abbandonato (anche se di fatto non lo fosse), mentre credo che un genitore debba chiedersi sempre se la sua azione quotidiana nei confronti del figlio, il suo rapporto con lui o la sua assenza possa arrecare delle conseguenze sul suo piccolo. Questo per due ragioni precise: la prima è appunto la mancanza di capacità critica del bambino, la cui interpretazione di ciò che gli accade è completamente soggettiva; la seconda è che una mente che si sta ancora formando, malleabile com'è, può essere banalmente compromessa perfino da un'azione apparentemente insignificante.
I figli piccoli sono inconsapevoli, ma i genitori hanno il dovere di essere consapevoli di ciò che fanno e per esserlo debbono mettersi nei panni dei loro bambini: ciò che può essere insignificante per gli adulti può non esserlo per i più piccoli e avere invece un grande peso emotivo. E se la risposta alla domanda, che si dovessero fare i grandi, "sto abbandonando mio figlio" fosse "no", il loro obbligo sarebbe quello di rassicurare e confortare i loro piccoli. Se la risposta, invece, fosse affermativa, cambino strada in fretta e non segnino l'infanzia di chi non possiede mezzi per capire e difendersi. In tutti e due i casi, questi genitori stiano vicini ai figli, almeno con le parole quando non è proprio ipotizzabile una vicinanza fisica.

Commenti

  1. Cristiano io penso che questa mamma non farà mai sperimentare ai suoi figli il senso di abbandono che tanto ha segnato la sua infanzia proprio perché l'ha vissuto in prima persona, non a caso si sta facendo tutte queste domande. Il problema è di quei genitori che non si mettono mai in discussione e che non ascoltano i loro figli. Perché i bambini saranno pure privi di senso critico ma sanno vivere perfettamente e pienamente i loro stati emotivi per non parlare della loro innata capacità di comunicarli. "Mamma stai con me", "mamma non andare via", "mamma vieni qui" Matteo me lo dice spesso, come potrei minimizzare o, peggio, pensare che si tratti di capricci? Che poi non sia sempre possibile (e neppure naturale o sano) essere vicini ai propri figli questo è un altro discorso ma conosco un sacco di genitori che usano troppo spesso e a sproposito questo argomento. Personalmente direi alla tua lettrice di stare tranquilla: sono le domande che si sta facendo non le risposte che, comunque, le auguro di trovare ad impedirle di far soffrire i suoi figli. A presto, ciao
    P.S: hai tolto i punti?

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