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Festa del papà, tra poche luci e molte ombre


di Alessandro Spadoni

19 Marzo. Festa del papà. Per molti un’occasione per festeggiare assieme a moglie e figli. Per altri, molti, un giorno amaro che mette ancora più in risalto la loro difficoltà e precarietà. Secondo la Cgia di Mestre infatti la figura del padre in Italia, come quella della maternità del resto, è entrata in profonda crisi, colpa anche dell’incertezza economica, della precarietà e di una visione individualista, nichilista della nostra società che mette alla berlina il valore e il ruolo della paternità. 
Nel 2012, in questo nostro strano assurdo Bel Paese, i maschi quarantenni precari o con stipendi da 1.200 euro al mese sono oltre 200 mila, circa il 12% del totale degli occupati maschili e molti con figli a carico, tanti separati e in situazione di estremo bisogno. Per loro non c’è proprio nulla da festeggiare, anzi parlare di Festa del Papà ha quasi il sapore di una beffa. Per loro la condizione naturale è quella di condurre ogni giorno una lotta impari contro le pressioni di una realtà ostile, di una società, quella italiana che, a parole, afferma e garantisce il valore della famiglia e la tutela dei più bisognosi, ma che, nei fatti e contrariamente a quanto si realizza nel resto d’Europa, smantella lo Stato Sociale e nega i diritti più elementari, quelli per intenderci sanciti a chiare lettere nella nostra Costituzione. 
Aumenta dunque l’indebitamento dei padri separati, la povertà (sono in tanti che sono costretti a ritornare a vivere dai genitori o peggio in auto o per strada), la disperazione per chi è costretto a sostenere e gestire non solo un fallimento umano, emotivo e personale, ma anche quello economico e lavorativo. In tal senso, stanno sorgendo come funghi gli sportelli di soccorso per padri separati, le associazioni di sostegno e di recupero psicologico per uomini soli che non riescono più a far fronte all’enorme mole di obblighi, di impegni e di necessità che la nostra vita frenetica e priva di scrupoli ci impone. 
Merita una riflessione a parte poi la condizione di quei quarantenni, invisibili alle statistiche e alla lente dei sociologi, che vorrebbero costruirsi un futuro, una famiglia, una propria realizzazione umana e affettiva, ma non possono perché schiacciati non solo dalla precarietà, ma anche da un ricambio generazionale paralizzato (siamo la Nazione che ha più anziani nei ruoli dirigenziali o comunque più remunerativi in tutti i campi, persino in quello artistico ed espressivo) e da una folle staticità della scala mobile sociale, colpa anche di riforme del lavoro scriteriate e orientate per lo più alla conservazione dello Status Quo imperante.
In Italia purtroppo imperano ancora lobby, corporazioni e gruppi di potere con la complicità del sistema sindacale attuale che farebbero invidia persino al sistema delle caste indù, impedendo di fatto ogni possibilità di crescita per questo nostro paese. Lo dimostra in maniera lampante che l’Italia è ultima in tutti i settori produttivi, di ricerca e creativi e persino nazioni più arretrate ci superano di gran lunga. Chi è figlio di operai o di quella che, una volta, si chiamava micro-borghesia, è condannato quasi sempre a restare nella sua classe di appartenenza, mentre chi ha una condizione migliore ha di certo migliori possibilità di progredire e di affermarsi. 
Questo sconsolante panorama di padri poveri, di uomini ancora precari a quarant’anni, di giovani condannati a restare incatenati alla loro condizione di partenza contrapposto ad un clan di fortunati, furbi e avvantaggiati rende manifesto quanto ormai abbia poco senso festeggiare una Festa del Papà e sottolinea l’urgenza di una vera rivoluzione che vada a scardinare un modo di pensare vecchio, classista e superato imposto in Italia da un gruppo politico, manageriale e dirigenziale italiano incapace di dare risposte e soluzioni convincenti a chi affronta la durezza della vita ogni giorno.

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