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Una bambina non ancora donna


Ancora una volta sul solito treno: nel giorno della festa delle donne, una bambina non ancora donna è in piedi affianco al padre con cui parla e al quale racconta piccole cose. Cose da bambina, poco importanti, evidentemente. E infatti il padre la guarda, ma è come se non lo facesse, e non la sta neppure a sentire, preso dai suoi grandi pensieri da adulto. 
Risponde con distrazione a domande probabilmente già sentite, come se non fosse a conoscenza del fatto che sono sempre le stesse le domande che facciamo, mentre invece sono le risposte che aspettiamo a dover essere ogni volta diverse, a seconda delle situazioni. Le domande, per il solo fatto di esistere, rappresentano sempre delle questioni aperte e ammettono infinite possibilità. Non stupiamoci, dunque, delle domande: non è da stupidi il ripeterle, soprattutto e finché non arrivano le risposte che attendiamo.
E' invece la sufficienza con cui a volte si risponde a non essere ammissibile, anche se ogni scelta è libera e ognuno può fare ciò che vuole dei propri pensieri. E il padre è libero di trascinare una risposta scontata dopo l'altra, come se volesse far rotolare nel fango un carro colmo di mattoni e poi li gettasse da una rupe anziché costruirci una casa. 
E io, che sto a guardare, col mio pensiero a mia volta libero incomincio a immaginare quella bambina non ancora donna non più su un treno che va sempre avanti e che ogni tanto si ferma nelle stazioni designate, ma su di un'altalena che vola in alto e torna quaggiù e che, ogni volta che sale, le permette di staccarsi dalla realtà e di sognare. 
Questo è il regalo che le faccio nel giorno della festa delle donne: di trovare delle risposte nella fantasia se nel mondo non glie ne danno. E di restare per sempre una bambina che viaggi su un'altalena anche quando sarà diventata una donna. Una donna che continui a domandare, a occhi chiusi e senza mai fermarsi in nessuna delle stazioni che incontrerà lungo il suo viaggio.

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