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Il racconto del mare


Qualche settimana fa è volato sulle stelle Neil Armstrong, il primo uomo ad aver messo piede sulla luna, l'astronauta del celebre commento: "Un piccolo passo per un uomo, ma un balzo da gigante per l'umanità". C'è chi ha messo in discussione, con prove 'schiaccianti', l'allunaggio del 1969 e chi invece non ha mai dubitato che l'Aquila della missione Apollo 11 abbia effettivamente posato gli artigli sulla base della Tranquillità.
Tutto ciò mi importa ben poco, perché, se è indubbio che calpestare il suolo lunare, se ciò è veramente accaduto 43 anni fa, sia stata un'impresa senza precedenti, penso che di cose straordinarie, di piccoli, grandi passi se ne compiano tutti i giorni e, senza spingersi troppo lontano, anche sulla terra, dove la vita è sufficientemente complicata e non è per niente paragonabile a una linea retta oppure circolare - come pensano i tanti che credono che tutto sia programmabile e dunque immediatamente attuabile, la realtà il riflesso perfetto di un'idea -, ma a un tracciato altalenante, frammentato, fatto di picchi alti e bassi, come un elettroencefalogramma irregolare, delimitato ai due estremi da un inizio e da una fine, a volte neanche da questi due punti, ché spesso non ci si accorge del momento esatto in cui le cose incominciano, né quello che sembra a tutti gli effetti un destino non finisce per riservare, a volte, strascici ulteriori.
Semplicemente, un'impresa è riuscire a fare ciò che poco prima non si sapeva o si pensava di non poter fare. In questa folle estate appena trascorsa (a dire il vero, a esser finite sono le vacanze, non la stagione, che nel calendario scade il 21 settembre, e né tanto meno la pazzia, che è ancora qui attorno e colpisce coloro che hanno una maniera propria e non conformistica di ragionare), Dodokko ha imparato a nuotare e quella che segue è la cronaca di come ciò è accaduto, la storia di una conquista straordinaria, indiscutibile al contrario di quella del nostro satellite. Ed è inoltre la piccola confessione del mio amore per l'acqua, come elemento capace di unire corpo e spirito, di un genitore e un figlio, in questo caso.

Il bambino e suo padre sono andati a fare il bagno a largo. Hanno preso il canotto, che è quasi un gommone, e hanno remato fino al punto dove volevano nuotare, "dove il mare è verde acqua", aveva detto di voler andare il figlio. Hanno gettato l'ancora e si sono tuffati, tutti e due con la maschera e le pinne, il piccolo anche con i braccioli. Hanno nuotato un poco attorno al canotto, poi il papà si è immerso per guardare meglio il fondale.
"Voglio andare anche io sott'acqua", ha detto il bambino, appena il padre è risalito in superficie. E questi ha risposto: "Con i braccioli non ci riuscirai, perché non li togli?".
"Va bene", ha accettato la proposta, senza esitare, il figlio. Il papà lo ha aiutato a sfilare dalle braccia i galleggianti, sorreggendolo per la vita. Poi ha invitato il piccolo a nuotare: "Io ti terrò a galla mantenendoti per la pancia, non hai di che preoccuparti, e poi hai le pinne che ti sostengono come se avessi dei braccioli ai piedi".
Il bambino si è fidato delle parole dell'adulto e si è affidato a lui nel viaggio verso la riva. A un certo momento si è fermato e ha chiesto al padre: "Ma tu non mi stai tenendo?". E il genitore ha risposto, dicendogli la verità: "Lo sto facendo, invece, ma molto leggermente. Quasi quasi non ci sarebbe bisogno che ti aiuti, te la cavi benissimo senza di me". E gli ha domandato: "Vuoi provare a nuotare da solo?". Il bambino ha risposto di sì: "Voglio provare senza il tuo aiuto", ha detto il figlio, ancora una volta fidandosi e affidandosi al padre.
Il bambino ha nuotato fino a riva, con il papà al suo fianco, sono arrivati dove si tocca, in tutto avranno fatto una cinquantina di metri, e poi il papà gli ha ricordato che "ora dobbiamo tornare a riprendere il canotto, non possiamo lasciarlo lì". E così hanno nuotato per altri cinquanta metri fino a raggiungere questa specie di gommone senza motore.
Sono risaliti a bordo felici, sorridenti, tremante per il freddo il piccolo, e subito si sono raccontati le gesta appena compiute, l'impresa che vale di più di un viaggio sulla luna, l'uno correggendo l'altro durante la ricostruzione dell'avvenimento. Aggiungendo, inconsapevoli, dettagli e particolari ad una storia dell'umanità capitata miliardi di volte ma che ogni volta è nuova, unica e irripetibile.

Un bagno in mare permette di capirlo: la programmazione, come affermavo all'inizio, lascia il tempo che trova, perché esiste soltanto una casualità nella quale ci inseriamo e in cui facciamo, perché no, pure la nostra parte: diamo un contributo - diciamo così - allo svolgersi dei fatti, ci limitiamo a correggere una traiettoria oppure - tanto la sostanza non cambia - è il destino che corregge la nostra. Vivere è partecipare, insomma, e di più non siamo in grado di fare.
Si impara a nuotare quasi per caso, forse è sempre stato così da che mondo è mondo. Non è altro che il racconto dell'acqua la storia dell'uomo: un corpo che galleggia nell'abbraccio del mare e che può prendere qualunque direzione desideri, un poco lui stesso e un poco la corrente, perché non tutto dipende veramente da noi, l'inizio come la fine. 

Commenti

  1. Ciao Cristiano è sempre un piacere leggere i tuoi post, questo poi è bellissimo! Davvero il racconto di un'impresa straordinaria che, secondo me, non è tanto quella dell'imparare a nuotare quanto quella del fidarsi e dell'affidarsi ad un'altra persona. Non è cosa implicita, neppure nel rapporto figlio-genitore.
    Io ricordo ancora benissimo il giorno in cui imparai ad andare in bicicletta senza rotelle: mio fratello mi spingeva, all'improvviso non ho visto più la sua ombra difronte a me e ho realizzato che stavo pedalando da sola. Come sia potuto accadere che, per l'emozione, non sia caduta non saprei dire ma quella sensazione è stata (ed è, ancora adesso che ci ripenso) bellissima.
    Vi auguro di conservare sempre vivido nella memoria il ricordo di quei momenti.
    A presto.

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