E' trascorso quasi un anno da quando abitiamo più vicino al lavoro. Ed è dal giorno in cui ci siamo trasferiti che torniamo sempre nella vecchia casa, nei fine settimana. Ritroviamo non solo un luogo o delle abitudini o degli oggetti, come vestiti, giocattoli, libri. Ogni volta incontriamo, invece, soprattutto la nostra storia, anche la più recente. Una casa, specie quella dove sono nati dei figli, non è un posto qualsiasi, ed è difficile sbarazzarsene, cancellarla dalla memoria oppure venderla. Ci sono i tuoi ricordi, lì dentro, e i ricordi sono il collante con il nostro passato.
Leggere un libro con i bambini prima di addormentarci, cucinare insieme, passeggiare su strade che in passato abbiamo calpestato decine di volte: il ritorno a queste consuetudini non è piacevole soltanto per il bel racconto narrato o la buona riuscita della ricetta o il panorama, bello come un tempo, che ci circonda mentre camminiamo.
La bellezza di cui parlo è fatta della stessa sostanza del disegno sul vetro appannato, lo stesso della poesia di Juan Rodolfo Wilcock: un rapido segno su una superficie rigida e fredda, il manifestarsi, per un attimo, della vita e del suo passaggio, mentre le gocce d'acqua già si riprendono il posto che apparteneva loro, invadendo il disegno e cancellandone ogni traccia.
Ritorniamo, e tutte le volte, per quanto possiamo, lo facciamo per recuperare, per un istante soltanto, pezzi di vita che ci sono stati sottratti.
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