"Che cosa devo dirle di suo figlio? E' bravo a scuola". Durante il colloquio con le maestre per il ritiro della prima pagella di Dodokko, l'insegnante di matematica (l'unica rimasta in classe al mio arrivo, quella di italiano era dovuta andare a prendere di corsa il treno) non ha avuto granché da commentare i voti del primo quadrimestre che mi mostrava: una sfilza di sette e anche alcuni otto, uno perfino in musica, materia mai insegnata a mio figlio, come lui stesso mi ha raccontato la sera a casa (però il giorno dopo gli è venuto in mente che forse musica la fanno...quando cantano le canzoni in inglese). Ho guardato rapidamente la pagella, senza soffermarmi sulle materie, e l'unica domanda che ho saputo fare alla maestra è se mio figlio è educato e se, durante le lezioni, segue con attenzione o si distrae facilmente. L'insegnante mi ha rassicurato: "E' un bambino diligente che, anzi, vorrei fosse meno riservato".
Ciò che penso è che i voti in pagella lascino il tempo che trovano e che oggi sono buoni e domani possono esserlo meno. Quel che conta, all'età di sei anni, è che Dodokko vada a scuola volentieri e che sia contento di stare insieme ai suoi compagni. Inoltre, è importante che riesca ad ascoltare, senza distrarsi troppo, le spiegazioni delle maestre e che ne comprenda il significato. Imparare un'attività oppure una lezione non serve a nulla se prima non se ne capisce il senso. Bisognerebbe possedere sempre un buon grado di coscienza rispetto la realtà che ci circonda e che viviamo, e questo vale anche per gli adulti.
Imparare a ragionare è preferibile all'imparare a memoria e io a scuola, non so a partire da quale classe, non ho mai saputo ripetere a pappagallo le cose che gli insegnanti mi dicevano, né le frasi scritte nei libri. Un po' perché le mie doti mnemoniche non sono mai state eccelse e un po' perché in classe mi distraevo facilmente. Ho sempre saputo ricordare le cose che devo fare, mentre quelle fatte le ho sempre rimosse con grande facilità. Per esempio, lì per lì mi piaceva leggere la vita di Napoleone e mi interessava molto la parte relativa alla sua infanzia e le battaglie che vinceva, ma dopo poco tempo dimenticavo tutto.
Mi piaceva andare a scuola perché mi divertivo tantissimo con i miei compagni, sono stato un bambino, e successivamente un ragazzo, sempre con la battuta pronta che amava scherzare e far ridere gli altri. Spesso, durante le lezioni mi annoiavo e di colpo non ero più presente in classe, perché con la fantasia partivo verso mondi lontanissimi dal luogo fisico in cui realmente mi trovavo. La stessa cosa mi accadde all'università, dove, invece di studiare i libri d'esame, mi ritrovai di frequente a leggere testi di narrativa o di poesia oppure a dipingere o a conversare amabilmente con interlocutori incontrati casualmente durante le passeggiate pomeridiane con i miei cani. Insomma, a prevalere, su quelli che sono considerati i doveri di uno studente modello, sono sempre stati gli interessi, occasionali o coltivati, nei quali mi imbattevo. Pur riuscendo a laurearmi, compiendo dunque un percorso di studi lineare, da giovane ho fatto e ho amato fare delle esperienze nuove, nell'ambito pur ristretto della mia vita quotidiana, dei miei obblighi e delle mie abitudini.
Quel che voglio dire, con la storia della pagella di Dodokko e il riferimento a me stesso studente, è che bisogna avere il piacere di studiare ed è proprio questo piacere che gli insegnanti e i genitori dovrebbero trasmettere ai bambini. L'argomento e il significato di ciò che si studia in qualche modo si apprenderà, perché tutti, chi poco di più e chi poco di meno, siamo normodotati, dunque né geni e né deficienti.
Tengano presente, questo discorso, soprattutto quei genitori che, all'uscita dall'aula dopo il mio colloquio con l'insegnante, mi hanno chiesto come fosse andata la pagella di Dodokko e ai quali, ne sono convinto, non ho dato soddisfazione con il mio laconico "bene, grazie". So quel che si aspettavano da me, dopo il loro esplicito interessamento: un analogo interessamento, manifestato con la stessa domanda appena fatta da loro. La tentazione di fare paragoni e confronti e di vedere come si piazzasse il proprio figlio rispetto ai compagni era talmente evidente, da potersi leggere sulle loro facce come in un libro spalancato. Un'analisi comparata materia per materia, bambino per bambino è ciò a cui aspiravano, come se i voti siano il Verbo, la Verità, la sentenza di una giustizia infallibile e possano decretare la nascita di un novello Einstein. E, invece, non sono altro che un risultato variabile, fisso soltanto per la breve durata di un dato momento della formazione. A volte, perfino l'espressione di una serie di stati d'animo. Del bambino o, come spesso accade, anche degli insegnanti.
Quanto odio i genitori che si aspettano dai loro figli il massimo a scuola (quelli che, nella maggior parte dei casi, quando è toccato a loro, hanno fatto il minimo indispensabile se non di meno) tanto più che tra i miei compagni delle superiori quelli che si sono laureati più facilmente sono quelli del recupero finale, quelli che studiavano gli ultimi due mesi dell'anno scolastico passando i restanti a fare altro!
RispondiEliminaPer me la scuola dovrebbe comunicare la bellezza dell'apprendimento e della conoscenza e, miracolo, spesso ci riesce soprattutto se lo stesso atteggiamento lo hanno i genitori.
Comunque complimenti per la bella pagella: ricordati di gratificare a dovere dodokko che comunque se lo merita e magari se lo aspetta, a prescindere dalle "strane teorie" del papà che si ritrova.
Bisognerebbe stampare questo post e attaccarlo alla porta dell'aula per la consegna delle schede.
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