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I Fitzgerald a Positano


Erano assidui frequentatori della Costa Azzurra, Francis Scott Fitzgerald e sua moglie Zelda, ma, quasi un secolo dopo, io li ho immaginati a Positano. Quante coppie di americani ho incrociato che se ne andavano a zonzo per i vicoli del paesino della Costiera. E quanti ne ho visti seduti nei ristoranti o nei bar, di fronte a una bottiglia di vino o a una tazza di caffè o di cappuccino...al termine di un pasto. A mangiare a tutte le ore, secondo il fuso del paese ospitante o ancora di quello dello stato da cui provengono. In forma smagliante o meglio, come dicono loro, fit, oppure ciondolanti, fradici di alcol o drunk, se non addirittura pissed a tal punto da non reggersi in piedi e dover prendere attentamente la mira per centrare uno scalino e non cadere nel vuoto. Ma sempre molto curati nell'abbigliamento, ben stirati, ben sbarbati e pettinati, gli uomini, ben truccate e ingioiellate le loro consorti. Parlano a bassa voce, non sono i caciaroni del Texas, ma verranno dal New England o al massimo dalla California.
Sono rilassati e perfettamente a loro agio, quando sono in holiday. Se la godono davvero: centellinano ogni singolo boccone, ogni singola goccia dei loro drink. Assaporano ogni esperienza che fanno, senza alcuna fretta di andarsene. Sono dei puri contemplativi, assorti di fronte a un panorama o a uno sguardo. Sono tutt'altro dai turisti bulimici che vogliono vederere e capire il mondo in un giorno e per questo segnano con una tacca ogni tappa del loro itinerario. Non sono affatto busy, per loro è sufficiente un quadro, una scogliera, una brezza marina, un albero per essere appagati. E saldano il conto senza problemi, senza esitare, quasi senza guardare la ricevuta. Felici a volte anche di essere truffati, gli piace fare i finti tonti.
Davvero, sembrerebbe che non abbiano problemi, né di soldi, né di salute, né di vita affettiva, no stress, no troubles, make love, no war, beati loro.
Io passo il tempo a rincorrere i miei bambini, a dire loro di non gridare, a tentare di non farli litigare, alla ricerca di un introvabile ovetto Kinder per ciascuno, e delle Tic Tac che nessuno vende, a tamponare il sugo della pizza sulla maglietta, a cercare un albero o un muro contro il quale fargli fare la pipì, e bottiglie d'acqua a non finire, e a mediare litigi per cose da nulla, ma fondamentali per loro: un cartone animato al posto di un altro, il tappo verde della bottiglia anziché quello rosso, il bastone trovato sulla spiaggia, questo è mio e questo è tuo...
Quanto mi piacerebbe essere in vacanza e rilassarmi come Fitzgerald, e anche spassarmela alla grande come lui o come tutti gli americani che ho visto godersi la vita ed essere a loro agio ovunque vadano.
Mentre penso a queste cose fin troppo, ma non sempre vane, i miei figli chiedono, a un cameriere del bar dove ci siamo rifugiati in attesa che smetta di piovere, delle cannucce di plastica colorata. Il ragazzo li accontenta per la quarta volta di seguito, senza mai spazientirsi. E loro, che in quel momento hanno tutto ciò che desiderano e che li può rendere felici, all'improvviso sono i miei piccoli Fitzgerald in vacanza, anche soltanto con delle cannucce con cui fanno le bolle in un bicchiere d'acqua e che una dopo l'altra finiscono sistematicamente per cadere in terra, dopo essere state ciancicate.
A me, invece, piacerebbe tanto avere una barchetta come quella nella foto. Perché è di legno e ha gli stessi colori delle case del paese. Soltanto per questo e per nessun altro motivo.

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