Siamo partiti per la Costiera amalfitana. I bambini hanno guardato Topolino sul computer per tutto il viaggio, circa tre ore. Ci siamo fermati quando il piccolo ha detto che gli faceva male la pancia. È stato quasi all’arrivo, dopo la strada piena di curve che abbiamo fatto da Napoli verso Maiori. Ho parcheggiato poco prima di Tramonti, nel Parco dei Lattari, su un belvedere che dava sul Vesuvio. Ai suoi piedi si distendevano diversi paesi, fra i quali Pompei ed Ercolano.
Quando gli ho detto che la montagna che avevamo di fronte era un vulcano, il bambino grande mi ha chiesto se fosse pericoloso e se potesse eruttare. Gli ho risposto che “sì, potrebbe farlo, e infatti in passato, tantissimo tempo fa, ha eruttato, sorprendendo le persone che vivevano lì vicino, chi nel sonno, chi mentre lavorava, altri mentre giocavano”. Gli ho detto anche che la lava, dopo essersi raffreddata, ha trasformato in statue di pietra quelle stesse persone di cui ha fermato il tempo. Allo stesso modo si comporta la macchina fotografica quando scatta delle istantanee e immortala, proprio così si dice, dei momenti di vita ben precisi.
Immortalare mentre uccide, che contraddizione questa parola che ha la pretesa di fermare per sempre il tempo di chi soltanto un attimo prima era vivo e magari era felice e sorrideva. “Potrebbe colpire anche noi la lava?”, mi ha domandato il figlio grande. Gli ho risposto che è impossibile, dato che siamo in alto e di solito la lava scende come un fiume dal vulcano e inonda la pianura, ma non risale le colline.
Si è tranquillizzato subito. Nella piazzola dove siamo fermi c’è un fruttivendolo ambulante che ha sistemato per terra delle cassette piene di arance rosse e bionde, di mandarini, di limoni e di cedri enormi. Faccio notare ai bambini questi ultimi frutti che non avevano mai visto, la loro buccia gialla e grinzosa, eppure perfetta nella sua irregolare morbidezza, sembra di accarezzare delle candele di cera che risplendono di luce propria e a cui non servono fiamme per brillare. Ora che ci penso, ricordo che in Sicilia chiamano ‘lumìe' i limoni, loro più umili e comuni parenti, e credo che il significato di questa parola rimandi in qualche modo al termine di lume o luce, anche se nella sua etimologia si riferisce a un altro frutto, meno coltivato, della stessa famiglia dei limoni. Il fruttivendolo ci fa assaggiare le arance, e io glie ne compro tre chili, e poi offre dei mandarini ai bambini, che mostrano la loro gratitudine mangiandoli in fretta. Porta delle ciabatte al posto delle scarpe, che ha lasciato in un angolo dietro a un tendaggio di lamiera, dove c’è anche sua moglie che non si fa vedere ed è intenta ad arrostire due fette di carne sulla brace.
Ho fatto le ultime curve a dieci all'ora, per evitare che il figlio piccolo si sentisse male e vomitasse. Siamo arrivati e c'era il mare. Siamo andati a posare le valigie in albergo e siamo usciti di fretta per andare in spiaggia. I bambini hanno giocato con la sabbia e il secchiello, hanno raccolto i sassolini che hanno trovato, molti pezzi di vetro colorato che il mare ha arrotondato, tante pietre arancioni e ancora smaltate e che un tempo erano ceramiche e piastrelle. Il bambino grande ha anche fatto il bagno con la muta che si è portato. Dopo aver giocato per un poco con le onde, è uscito dall’acqua e l’ho aiutato ad asciugarsi. Si è messo dei vestiti asciutti e ha ricominciato a giocare col fratello.
Mentre erano indaffarati, mi sono allontanato da loro di un paio di metri per sedermi sui ciottoli di fronte al mare e dando loro le spalle. Dopo un poco il bambino piccolo mi ha raggiunto e mi ha chiesto: “Perché guardi il mare?”. Gli ho proposto: “Perché non lo guardi anche tu?”. “Vado a raccogliere altri sassolini”, mi ha detto.
Ho pensato che la sua domanda non potesse appartenere a un bambino di tre anni, seppure introspettivo com'è lui. Guardare il mare, anche senza una ragione apparente, non è mai una cosa da poco, perché quando lo sguardo, dalle prime onde che si infrangono sul bagnasciuga, arriva fino all’orizzonte, quel limite dove mare e cielo si uniscono, e non trova nulla, non può fare altro che tornare indietro per trovare se stesso. È come guardarsi in uno specchio senza vedere il proprio viso, ma qualcosa che c’è nascosto dentro. Ecco perché la domanda del figlio piccolo è introspettiva, perché la mia risposta, che non gli ho dato, sarebbe dovuta essere una come questa: “Non sto guardando il mare, ma me stesso”.
Al che lui, in certi casi molto più pratico di me, avrebbe sicuramente risposto allo stesso modo di prima: “Vado a raccogliere altri sassolini”.
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