Ereditare non significa ricevere passivamente. Sia che ci si riferisca a beni come immobili o soldi e sia che si tratti della cosiddetta (più immateriale?) 'eredità culturale', non siamo scatole vuote pronte all'occorrenza a essere riempite. Chi eredità per davvero è colui che fa suo e combatte per avere ciò a cui ha diritto e che dunque gli spetta. Questa operazione di appropriazione è esclusivamente attiva, anzitutto perché l'erede, per essere tale, - come fa notare Massimo Cacciari - è principalmente un orfano, una persona che si scopre improvvisamente abbandonata e dunque non può che contare esclusivamente sulle proprie forze per guadagnare quanto gli è stato lasciato: il passato del padre e la propria relazione con lui.
Telemaco, il figlio di Ulisse - tornato alla ribalta perché citato la settimana scorsa dal presidente del Consiglio nel suo discorso al Parlamento europeo -, abbandonato, dopo essere appena nato, dal padre che deve andare a combattere a Troia, è il simbolo vivente del significato del termine 'eredità'. Il suo nome vuol dire 'colui che combatte lontano' ed egli infatti non aspetta il ritorno del padre semplicemente guardando il mare di Itaca, ma, vedendone minacciato dai Proci il regno, lo va a cercare prima a Pilo e poi a Sparta. E quando Ulisse torna in patria, il figlio lo aiuta a combattere contro i pretendenti al trono e a ristabilire l'ordine dello Stato.
Telemaco, sottolinea Massimo Recalcati nel suo Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre, simboleggia il giusto modo di ereditare: non beni, non un regno, ma la parola, il significato e l'insegnamento paterno, dopo averlo fatto faticosamente proprio.
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