Tanto tempo fa sentii questa frase che mi colpì molto e che suona più o meno così: "Tutto ciò che possediamo lo abbiamo ricevuto in prestito".
Ancora oggi non mi sono fatto un'opinione netta riguardo questa affermazione. Non so decidere, infatti, se essere d'accordo oppure in contrasto, in particolare con le implicazioni che derivano da una simile posizione. Soprattutto alla luce di una cosa di cui, al contrario, sono assolutamente convinto, e cioè che tutto quel che abbiamo, preso in prestito o non, un giorno dovremo comunque restituirlo o, per lo meno, consegnarlo ad altri.
Ancora oggi non mi sono fatto un'opinione netta riguardo questa affermazione. Non so decidere, infatti, se essere d'accordo oppure in contrasto, in particolare con le implicazioni che derivano da una simile posizione. Soprattutto alla luce di una cosa di cui, al contrario, sono assolutamente convinto, e cioè che tutto quel che abbiamo, preso in prestito o non, un giorno dovremo comunque restituirlo o, per lo meno, consegnarlo ad altri.
Non credo che tutto, ma proprio tutto, ci venga dato o che lo riceviamo grazie al contributo di altre persone. Alcune cose, infatti, riusciamo a conquistarle soltanto per la nostra determinazione e con le nostre forze e capacità, spesso soltanto dopo essere riusciti ad avere la meglio su chi queste stesse cose non voleva cederle.
In prestito o meno, domani daremo ad altri quel che abbiamo avuto ieri: non c'è un regalo più bello, che potremmo mai fare, di questo. Siamo, letteralmente, dei testimoni e deponiamo la nostra testimonianza sulle spalle di qualcuno che, se vorrà, potrà farsene carico: ho inteso in tal senso l'eredità che un padre e un figlio si tramandano. E il significato di questo passaggio è univoco: i figli assorbono ciò che i genitori sono, sia nel bene che nel male, non ci sono né sé e né ma. La bellezza ma anche ciò che è brutto, la ragione come la colpa, l'amore e perfino l'odio, sono fili conduttori che vengono tramandati.
Restituiamo cose buone, ma soprattutto cose cattive. Diamo calci a chi ce ne ha dati prima. Alziamo la voce per non ascoltare chi, per primo, non ha udito noi. Siamo prevenuti verso chi ci ha deluso e non gli concediamo una seconda possibilità. Per un'economia del giudizio, dato che rifarsi un'idea su qualcuno, diversa da quella che già avevamo, vuol dire anzitutto rimettere in discussione noi stessi. Il che comporta una fatica non indifferente. Le idee sono formate da sedimenti che si posano su di noi attraverso un processo lento e continuativo, nel tempo, e che si trasformano in macigni duri e inscalfibili.
Ci difendiamo, in ultima analisi, per non essere attaccati. Ci rinchiudiamo, ci barrichiamo in noi stessi, inventiamo microcosmi inaccessibili: restituiamo diffidenza. Pensiamo solamente a noi stessi, allontaniamo i vicini, gli altri sono già lontani e nemmeno ci sentono, né possono vederci: siamo egoisti.
Colmiamo le distanze che ci separano restituendo nuove distanze.
L'altro giorno il Dalai Lama, in visita a Roma, ha spiegato con parole semplici le conseguenze dell'isolamento dell'uomo e della sua chiusura in se stesso: chi sceglie questa strada non produce nulla di buono, perché anzitutto non riconosce la propria uguaglianza con il resto dell'umanità. Ancora una volta, il concetto è che siamo tutti uguali e soltanto se lo capiamo possiamo vivere in armonia gli uni con gli altri. Invece, la forma mentale occidentale e dominante è tutt'altra cosa dall'essere comprensiva, sia in senso stretto che lato, laddove il primo di questi due significati è la premessa necessaria perché anche il secondo funzioni. Al contrario, è esclusiva, cioè allontana l'altro da sé, lo esclude, appunto, assumendo allo stesso tempo un atteggiamento ingiustificatamente aristocratico, di presa di distanza.
Ma finché non ci avvicineremo non saremo in grado di capirci.
Di generazione in generazione, ci passiamo soltanto un testimone, che prendiamo in prestito per un piccolo lasso di tempo, fino al momento in cui lo cederemo, e niente è davvero mio e nulla è del tutto tuo: l'individualità è mortale, mentre il passaggio dura in eterno.
In prestito o meno, domani daremo ad altri quel che abbiamo avuto ieri: non c'è un regalo più bello, che potremmo mai fare, di questo. Siamo, letteralmente, dei testimoni e deponiamo la nostra testimonianza sulle spalle di qualcuno che, se vorrà, potrà farsene carico: ho inteso in tal senso l'eredità che un padre e un figlio si tramandano. E il significato di questo passaggio è univoco: i figli assorbono ciò che i genitori sono, sia nel bene che nel male, non ci sono né sé e né ma. La bellezza ma anche ciò che è brutto, la ragione come la colpa, l'amore e perfino l'odio, sono fili conduttori che vengono tramandati.
Restituiamo cose buone, ma soprattutto cose cattive. Diamo calci a chi ce ne ha dati prima. Alziamo la voce per non ascoltare chi, per primo, non ha udito noi. Siamo prevenuti verso chi ci ha deluso e non gli concediamo una seconda possibilità. Per un'economia del giudizio, dato che rifarsi un'idea su qualcuno, diversa da quella che già avevamo, vuol dire anzitutto rimettere in discussione noi stessi. Il che comporta una fatica non indifferente. Le idee sono formate da sedimenti che si posano su di noi attraverso un processo lento e continuativo, nel tempo, e che si trasformano in macigni duri e inscalfibili.
Ci difendiamo, in ultima analisi, per non essere attaccati. Ci rinchiudiamo, ci barrichiamo in noi stessi, inventiamo microcosmi inaccessibili: restituiamo diffidenza. Pensiamo solamente a noi stessi, allontaniamo i vicini, gli altri sono già lontani e nemmeno ci sentono, né possono vederci: siamo egoisti.
Colmiamo le distanze che ci separano restituendo nuove distanze.
L'altro giorno il Dalai Lama, in visita a Roma, ha spiegato con parole semplici le conseguenze dell'isolamento dell'uomo e della sua chiusura in se stesso: chi sceglie questa strada non produce nulla di buono, perché anzitutto non riconosce la propria uguaglianza con il resto dell'umanità. Ancora una volta, il concetto è che siamo tutti uguali e soltanto se lo capiamo possiamo vivere in armonia gli uni con gli altri. Invece, la forma mentale occidentale e dominante è tutt'altra cosa dall'essere comprensiva, sia in senso stretto che lato, laddove il primo di questi due significati è la premessa necessaria perché anche il secondo funzioni. Al contrario, è esclusiva, cioè allontana l'altro da sé, lo esclude, appunto, assumendo allo stesso tempo un atteggiamento ingiustificatamente aristocratico, di presa di distanza.
Ma finché non ci avvicineremo non saremo in grado di capirci.
Di generazione in generazione, ci passiamo soltanto un testimone, che prendiamo in prestito per un piccolo lasso di tempo, fino al momento in cui lo cederemo, e niente è davvero mio e nulla è del tutto tuo: l'individualità è mortale, mentre il passaggio dura in eterno.
Eppure il buddismo fa dell'individualità il punto di partenza di un'enorme processo di crescita, talmente grande che non basta una vita a realizzarlo!
RispondiEliminaNon si va da nessuna parte e non si lascia niente in eredità se prima non si capisce chi siamo e mescolarsi agli altri, confondere acriticamente la nostra storia con le altre storie, serve a poco e a pochi.
Io non credo che un giorno restituirò grandi cose perché ogni giorno restituisco piccole cose, belle e brutte. La speranza è che, andando avanti, la qualità dei miei lasciti giornalieri migliori. Intanto rifletto su quello che ho avuto e che ogni giorno ricevo e niente mi impedisce di selezionare e scegliere. E' vero è una fatica non indifferente ma, a volte, minore di quella che si farebbe ad accettar tutto come ci è stato dato.
Forse dovremmo ripartire dalla "compassione", che sicuramente il Dalai Lama considera come un atteggiamento scontato, ma se non dedichiamo del tempo alle nostre passioni, come potremmo sentire quelle degli altri?
Comunque, potendo, io mi darei all'eremitaggio.