Otto minuti di calci, pugni, morsi, sputi e insulti contro una dodicenne nei pressi di Genova: è la vendetta di due adolescenti di sedici e diciassette anni contro la ragazzina 'colpevole' di aver insultato, precedentemente, una di loro. Il video, girato col telefonino di una delle due ragazze fra l'indifferenza di altri coetanei presenti sulla scena, si trova in rete e parla da solo: di accanimento, di violenza senza limiti, di assoluta miopia nei confronti del rispetto della persona. Quasi sicuramente, racconta anche del disagio familiare e sociale nel quale questi ragazzi vivono, luoghi dove non viene insegnato il valore della vita, dove non si impara ad aiutare chi è in difficoltà e dove invece si ammira chi è più forte e spietato.
Forse qualcuno me lo ha trasmesso il sentimento della pietà, quando ero un bambino, anche se non ricordo più come abbia fatto. So soltanto che dove vedevo una fila di formiche attraversare la 'mia' strada, io facevo un salto per non schiacciarla, che una volta ho pianto quando ho visto un cane che stava per morire sul ciglio di un sentiero di campagna, che al cinema ero sempre dalla parte degli indiani, che durante le partite di calcio, sognando una rimonta impossibile, volevo che segnasse la squadra che stava perdendo e negli incontri di pugilato vincesse il meno quotato, quello con la faccia più gonfia di botte. Ero, e lo sono ancora, dalla parte dei perdenti: i vincenti non hanno bisogno di aiuto, ché ce la fanno da soli, e poi sono spesso così arroganti, e a me l'arroganza di chi è mortale quanto me repelle come poche altre cose al mondo.
Qualche settimana fa, mentre il figlio grande nuotava, un suo compagno di corso, un ragazzino un po' grassottello, ha cominciato a colpirlo con la tavoletta ogni qualvolta stava per essere raggiunto. Mi sono accorto che lo faceva anche con gli altri bambini perché non voleva essere superato da nessuno: doveva essere lui il più veloce di tutti, il vincitore di una gara che soltanto lui aveva in testa. L'ho fatto presente all'istruttore, una persona che gode di tutta la mia fiducia per il rapporto che ha saputo instaurare con i suoi allievi, e mi ha risposto che quel bambino "ha dei problemi" e di aver notato alcune sue scorrettezze. Il maestro di nuoto non ha preso di petto il ragazzino, e d'altronde io non lo avrei mai preteso dato che non mi piace incolpare nessuno, specialmente un coetaneo di mio figlio, ma lo ha 'distolto' da ciò che non doveva fare dicendogli di fare ora questo, ora quell'altro esercizio.
Quel giorno è finita bene così, ma l'altra volta sono stato testimone di un vero e proprio fenomeno di bullismo da parte dello stesso ragazzino. In un momento di pausa, mentre alcuni compagni chiacchieravano fra loro e altri giocavano in acqua, ha cominciato a salire di peso sulle spalle di un bambino e a spingergli ripetutamente la testa sott'acqua. Dagli spalti, da dove ho assistito alla scena, stavo per mettermi a urlare, quando un secondo prima il bulletto ha lasciato la presa sulla sua vittima, un tipo un po' dimesso che è facile, l'ho capito subito dopo osservandolo con attenzione, prendere di mira.
Nello spogliatoio ho cercato i genitori del malcapitato, ma al loro posto ho trovato soltanto la sua babysitter, che probabilmente non si è mai accorta di ciò che era successo al ragazzino a cui dovrebbe badare. Ho cercato anche il maestro di nuoto, ma non l'ho incontrato e mi sono ripromesso di parlagli al più presto.
Senza saperne granché, il fenomeno del bullismo è probabilmente la parte più evidente di un disagio, la pelle di un problema che si trova a monte: la violenza con la quale si mostra è quella di chi è debole e che può esser forte soltanto con chi è più fragile di lui. E che spesso ha bisogno di una cerchia di sodali, di soci altrettanto deboli che soltanto in un gruppo si sentono più forti, perché si danno ragione a vicenda e si sostengono, e solamente così, insieme, si sentono invincibili. Per qualche motivo che ignoro, le due adolescenti sono delle deboli, capaci di essere forti soltanto contro una dodicenne isolata. Per qualche altra ragione che non conosco, il compagno di corso di nuoto di mio figlio gareggia slealmente ed è violento contro chi soffre di problemi più grandi dei suoi.
Di una cosa però sono certo ed è il criterio, sbagliato, attraverso il quale stabiliamo chi è vincente e chi è perdente. Oggi ce lo insegnano così: chi arriva al traguardo per primo vince, come vince chi fa cadere l'altro e resta in piedi al suo posto, fra gli applausi dei suoi sostenitori. Non importa con quali mezzi e con quali scorrettezze: la cosa fondamentale è farcela e come non conta.
La commozione e la pietà, la paura di far male a qualcuno fatto di carne, ossa e amor proprio, non sono cose da vincenti: sono sentimenti che hanno soltanto i perdenti, come quelli che si bloccano di fronte a una fila insignificante di formiche.
All'ultimo colloquio (e, finora, anche il primo) con le maestre di Matteo, tra un florilegio di compimenti ("questo bambino è educatissimo, intelligente, tranquillo, attento, concentrato...), l'ultima maestra ha esordito dicendo che Matteo era "troppo" tranquillo: "lui non corre per i corridoi come i suoi amichetti", "sembra un po' bloccato nei movimenti", "tende a stare sempre tranquillo" e io pensavo: "Ma insomma sti bambini li volete calmi così potete lavorare in pace o li volete scalmanati? Ditelo, che uno si regola".
RispondiEliminaIn realtà il succo del discorso si è rivelato qualche frase più in là: "vede io non vorrei che, continuando così, Matteo potesse diventare, in futuro, vittima di fenomeni di bullismo."
Matteo!!! Che quando giochiamo alla "lotta" intimorisce già solo con la mimica facciale, ma questo la maestra non lo sa e non è indispensabile lo sappia; piuttosto dovrebbe sapere quale è il modello di comportamento sociale cui la sua azione educativa tende. Cioè, mettiamoci d'accordo: il bullismo è un fenomeno davanti a cui ci arrendiamo tanto da augurarci che i nostri ragazzi sviluppino, ognuno secondo le proprie possibilità e personalità, la capacità di difendersi o iniziamo a concentrarci sui "bulli" e su quello che non va in LORO?
Questa confusione Cristiano credo sia dovuta al problema che hai individuato tu: alla fine, il modello vincente è quello basato sull'aggressività. La maggior parte degli educatori si è già rassegnata tanto, appunto, da considerare i bambini come Matteo problematici.
Ma io non mi arrendo e continuo a pensare che la forza "buona", vitale per ogni individuo, la svilupperò in Matteo lavorando sulla sua autostima non certo sui suoi muscoli o sulla sua rabbia.
Potrei pure sbagliarmi, vedremo.
P.S: anche io sono istintivamente dalla parte dei perdenti.