Passa ai contenuti principali

Dodicesima lettera: teoria della torta ovvero come aggiungere valore


E' molto tempo che giro attorno all'argomento del valore e oggi ne scrivo perché solo adesso sono riuscito a capire da cosa dipendesse il blocco che fino a ieri mi impediva di farlo. Sono una persona molto scettica, senza facili entusiasmi: un'infermiera, a cui l'altro giorno ho chiesto delucidazioni riguardo una terapia che devo seguire, mi ha detto senza mezzi termini che ho "una diffidenza assoluta" verso il protocollo. Questo, soltanto per aver fatto una domanda di troppo. Ci pensate: teoricamente una domanda è tale, ossia è il contrario di una risposta. Quelle che faccio io, poi, non sono mai retoriche, ma le più neutrali che posso, cioè vogliono lasciare aperta ogni possibilità di risposta, non ne contengono alcuna, già predeterminata, dentro di sé. E, invece, sono diffidente...
Una persona scettica, invece sì e, in quanto tale e poco entusiasmabile, tendo a guardare il mondo nelle sue particelle elementari. E mi accordo che è soltanto grazie al modo di gestire queste ultime che si possono fare cose di gran pregio. Ad esempio, per fare una torta abbiamo sempre bisogno dei soliti quattro o cinque ingredienti: farina, zucchero, burro, uova, latte, oltre all'odore della vaniglia o della buccia del limone e al lievito per dolci. Ma allora, perché alcuni di questi dolci riescono bene, mentre altri risultano praticamente immangiabili?
Le risposte sono due: la prima, è la scelta degli ingredienti, che possono essere della migliore o della peggiore qualità. Posso scegliere una farina più o meno raffinata, uno zucchero bianco oppure di canna, un burro di malga o industriale, delle uova di galline sane o di animali ammalati, da batteria, un latte intero o scremato, fresco o a lunga conservazione, biologico o non, l'aroma artificiale della vaniglia o del limone, piuttosto che il baccello o il frutto, il lievito chimico o quello naturale.
La seconda, è il modo di trattare questi stessi ingredienti, nonché l'equilibrio delle loro proporzioni. Per trecento grammi di farina posso usare due uova, ma anche quattro, un bicchiere di latte o nemmeno una goccia, più o meno zucchero, più o meno polvere lievitante. Posso prima sbattere le uova con lo zucchero o prima lo zucchero con il burro, fino a ottenere un impasto spumeggiante, oppure separare i tuorli dagli albumi, unire i primi allo zucchero e montare questi ultimi unendoli successivamente, delicatamente all'impasto, posso aggiungere anche un pizzico di sale per esaltare la dolcezza della preparazione. Posso infornare a 180 gradi, con la tortiera al centro del forno o spostata  un po' più in basso, o a 160 gradi se per esempio il forno è ventilato. Posso inserire il dolce nel forno a una temperatura alta per i primi 5 minuto per poi abbassarla di dieci gradi per il resto della cottura. Posso far riposare l'impasto per una mezz'ora in frigorifero prima di infornarlo oppure cuocerlo immediatamente.
Insomma, le combinazioni possibili, così come le variabili, sono infinite, sia nel caso della preparazione di una torta che in molte altre cose che si fanno. È il come si fa che conta e che aggiunge valore alle cose. Mentre queste, volendoci riferire ancora al caso della torta, sono sempre le stesse: infondo, mangiamo sempre carboidrati, proteine e grassi, ma è come vengono messi insieme che fa la differenza. A contare è la scelta e la qualità delle materie prime, così come il loro bilanciamento.
La teoria della torta, ma anche dell'uovo, per essere ancora più banali, dato che questa cellula di gallina può essere preparata in mille maniere pur restando sempre un uovo, ed è sempre un uovo quel che alla fine si mangerà, sia che venga bollito o fritto o strapazzato o bevuto alla coque o fatto a frittata o in camicia, col burro o con l'olio o col tartufo, sempre di un tuorlo e di un albume parliamo.
Il valore è cosa e come. Tutto qui. Niente di più facile da capire. L'ho sempre saputo, ma ciò che mi bloccava nell'elaborazione dell'idea di valore era proprio quello aggiunto, che anche in questo caso è di due tipi: uno tangibile, l'altro aleatorio. Il primo rende bello, piacevole, sublime ciò che è semplice, a volte conservando ed esaltandone, alcune materie è meglio se non le si tocca affatto, la loro stessa semplicità. Il secondo, ed è questo il nodo cruciale, non è altro che ridondanza, aggettivazione superflua, aggiunta effimera. Siamo più o meno nella sfera dei bisogni indotti, delle cose che non servono e che non portano alcun vantaggio né per il singolo e né per la società, ma che da un certo momento in poi divengono irrinunciabili.
Era questo quel che mi bloccava, nel momento in cui mi accorgevo di quanto il bello non fosse altro che una rielaborazione di ciò che è semplice. Il vedere cose e persone, vicino a me sempre più in sovrannumero, senza valore alcuno se non quello che qualcun altro gli ha attribuito. Oggetti e gente investititi dallo spirito santo e che, in quanto tali, se ne vanno in giro con un'aurea inaudita. Sono infatti loro stessi, i primi a credere nelle proprie doti sovrumane, i primi a cadere nel loro stesso tranello.
L'aristocrazia nasce da questo presupposto: siamo fondamentalmente tutti uguali, tutti respiriamo, mangiamo e andiamo al bagno, ma c'è sempre qualcuno che pensa di essere più raffinato degli altri, che si crede migliore del resto dell'umanità, che pensa di fare col sedere delle pepite d'oro, mentre chiama stronzi quelli che lo circondano. Il valore che aggiungono a se stessi è quello completamente inutile e irrilevante di cui dispongono. Peccato che molto spesso la gente che li osserva finisca per restare abbagliata da questi capitani coraggiosi e ciò può dipendere soltanto da un fatto: il loro cosiddetto carissima, che non è altro che l'idea che trasmettono a chi li osserva di poter diventare un bel giorno come loro. Loro, che restano infondo dei sempliciotti, eppure, dicono talvolta gli altri, guarda fin dove sono arrivati e, se ce l'hanno fatta loro...

Commenti

  1. Debbo dire, caro Cristiano, che questo post mi ha dato molto da pensare: non solo perché mi sono chiesta chi possa averti fatto tanto arrabbiare, del resto se avessi voluto comunicarlo lo avresti fatto, quanto perché, davvero, l'analogia della torta è perfetta: il cosa e il come, niente di più, niente di meno. Ci ho pensato spesso nei miei esperimenti di pasticceria ma mai in termini filosofici.
    Avendo riflettuto su quello che hai detto posso dire di trovarmi pienamente d'accordo con la tua teoria del valore e col tuo senso di stanchezza verso chi si auto attribuisce un valore che non ha, amareggiando la vita del prossimo suo. Perché, diciamocelo, l'autostima è un sentimento nobilissimo ma nulla impone di coltivarlo parassitariamente. Uno può sentirsi, nell'intimo, migliore degli altri ma non è detto che per convincersene debba continuamente e pubblicamente denigrare l'altro. Ma lasciamo stare, piccoli uomini e piccole donne che non meritano la mia attenzione.
    Pensavo invece a quando, per forza maggiore, hai ingredienti poveri e di non eccelsa qualità (ché la vita non dà a tutti le stesse possibilità) eppure riesci a preparare qualcosa di davvero notevole e buono. Ecco, quello potrebbe essere un utile indicatore di valore aggiunto.
    Cosa hai a disposizione è secondario, cosa ne fai è il dato importante.
    E io mi regolo così: potresti pure essere il Signore sceso in terra ma se ti comporti come l'ultimo dei villani, per me vali poco. Magari ci metto tanto a realizzare perché sono sensibile alle personalità (apparentemente) forti ma, quando realizzo, non torno indietro. Ci ho messo una vita a costruire la mia mediocrità non è che possa farla liquefare dal primo narciso che incontro.
    E comunque ciò che ci rende tutti uguali, più che respirare, mangiare (e in questo campo c'è tra la più insopportabile aristocrazia) e andare al bagno è il dolore. Ciò che ci distingue è il modo di affrontarlo.
    Grazie per la preziosa occasione di riflessione, ciao e a presto.

    RispondiElimina
  2. Di dolore parlavo poco fa con un collega, appena prima che arrivasse il tuo commento. Soprattutto del modo di gestirlo. Ne voglio parlare nel mio prossimo post. Ciao e grazie

    RispondiElimina

Posta un commento

Post popolari in questo blog

La partita sul terrazzo

Il muretto sarà alto un metro e mezzo al massimo. È per questo che il pallone con cui giochiamo a calcio sul terrazzo è sgonfio. Perché non rimbalzi troppo, con il rischio che vada a finire di sotto e colpisca qualcuno di passaggio. È pur vero che di persone ne passano poche sotto casa in questi giorni e comunque è capitato, alcune volte, che la palla finisse in strada. È andata sempre bene, per fortuna. Il pallone che usiamo per giocare sul terrazzo non lo abbiamo sgonfiato apposta. È bucato. Lo aveva morso il nostro cane Spot a Villa Borghese, qualche tempo prima che ci chiudessero tutti in casa. Non so perché non lo avessimo buttato via subito, quel giorno. Adesso in ogni caso ci serve, per il motivo che ho detto.  Il terrazzo non lo abbiamo mai frequentato prima del coronavirus, i miei figli non c'erano mai stati. È uno di quei posti che appartengono a tutti i condòmini e che, proprio per questo motivo, non sono di nessuno, perché nessuno ha bisogno di andarci e tutti vog

Coronavirus: il lockdown e le ripercussioni sui figli minori dei genitori separati

Intervista all’avvocato Antonella Laganella, giudice onorario Corte d’Appello di Campobasso, sezione minori Riaprire o lasciare tutto ancora chiuso, ripartire insieme oppure a due o a tre velocità: mentre si discute sulle modalità di allentamento del lockdown e su come gestire la Fase-2 nell’ottica di un ritorno graduale alla normalità dopo l’epidemia, diventano sempre più problematici, a causa delle limitazioni agli spostamenti per contenere l’epidemia da coronavirus, i rapporti fra figli minori e i genitori non collocatari all’interno delle famiglie con coniugi separati. Ne parla all‘Adnkronos l’avvocato Antonella Laganella, giudice onorario della Corte d’Appello di Campobasso, sezione minori, che sottolinea quanto le misure urgenti adottate dal Governo abbiano inciso sui rapporti fra figli e genitori non collocatari. "Le conflittualità tra ex coniugi si sono intensificate - spiega l’avvocato Laganella - di pari passo con la crescente incertezza sull’interpretazione d

Quando siamo costretti ad ascoltare un racconto sbagliato

Una delle peggiori forme di violenza che può capitarci di subire è il racconto sbagliato di ciò che ci accade. Trovo delittuoso - non ho altri termini per definire qualsiasi tentativo di mistificazione - il voler far passare una cosa per un'altra, appositamente, come se fossi tu a non capire e a non renderti conto di ciò che hai intorno: essere trattato, in una parola, come uno scemo. Sono incapace di tollerare che si scambi la verità con la finzione, non riesco a concepire la possibilità di intercambiabilità dell'una con l'altra, con la prima che diventi falsità e la seconda assurga a Verbo e a voce di Dio o, più semplicemente, a resoconto puntuale. Eppure, sono molti a credere alle chiacchiere, a farsi soggiogare più dal suono delle parole, che ad ascoltarle criticamente, cercando di coglierne il significato. La voce, spesso, ha più peso della sostanza che una frase esprime: siamo più ascoltatori di suoni che di significati. E chi parla, spesso, si sente e si pone su