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Il distacco e l'idea della morte


L'altro giorno ascoltavo in televisione uno psicologo che parlava di bambini piccoli, penso si riferisse a quelli fino a 4 anni. Pur non avendo ancora alcuna idea strutturata della morte, diceva, la loro paura maggiore è quella del distacco dai genitori. Ne usciva un quadro legittimamente egoistico dell'infanzia, e vorrei vedere: se improvvisamente non c'è più chi fino a oggi si è preso cura di noi, ci dice l'istinto, come potremmo sopravvivere domani. 
Non sappiamo ancora cos'è la morte, ma se chi ci ama se n'è andato, il futuro più imminente è il salto nel buio che ci spaventa maggiormente.
Sono fuori Roma per lavoro, al confine con la Francia, a otto ore di treno da casa. Un viaggio annunciato ai bambini già da qualche settimana e ben accettato da loro. Due giorni fa però, prima di andare a dormire, il figlio grande mi ha detto che non voleva che partissi. Lo ha fatto senza piangere, ma con la voce appena strozzata: riusciva a trattenere l'emozione, ha l'età per farlo, ha imparato la compostezza nell'esprimere i sentimenti, e questo è un bene ma anche un male. 
In quanto animali sociali, dobbiamo reprimere ciò che proviamo, non possiamo sbracarci alla minima occasione. Ma lo dico ancora perché non riesco a rassegnarmi a tale idea: questo è un bene ma anche un male.
I bambini piccoli non hanno un'idea sviluppata della morte, ma provano il sentimento del distacco e dell'abbandono. E appena sanno cos'è la morte, devono controllarsi e non cedere alle emozioni. Riconosco che questa impostazione, che privilegia la vita sulla morte e che incita ad andare comunque avanti, abbia un senso positivo, ma come è aberrante schiacciare l'istinto, quanto è innaturale non esprimere la sofferenza.
Io non so bene cos'è la morte, anche se l'ho sperimentata. Ovvero, ne ho una mia idea, del tutto personale. E penso che ciascuno di noi ne conservi una propria e individuale, quanto la relazione che aveva con chi se n'è andato. 
La mia idea della morte non è lontana da quella del distacco e dell'abbandono che possono avere i bambini. Forse la differenza fra me e loro è che io giustifico la morte, me ne faccio inevitabilmente una ragione.
Ho perso la speranza, che i bambini invece conservano, di veder tornare, prima o poi, chi se n'è andato.

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