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Il bambino e il cane


Chi ha detto che gli occhi servono soltanto per vedere o per guardare, per accorgersi di chi ci sta di fronte o per immaginare o sognare (a occhi chiusi, ma anche a occhi aperti - come diciamo spesso - e comunque sempre qualcosa di già visto o che, al massimo, desideriamo vedere)?
A volte gli occhi servono a prendere in braccio altri occhi. Per incontrarsi, per capirsi, per dirsi di sì. Per questo, può bastare uno sguardo o sono necessari momenti appena più lunghi. Ma sempre di istanti parliamo quando a parlarsi sono gli occhi.
Gli occhi non conoscono né tempi troppi lunghi, né morti.
Gli occhi del bambino hanno incontrato quelli del cane.
Gli occhi del cane hanno incontrato quelli del bambino.
Anche se l'umano guarda il mondo a colori e l'animale in bianco e nero, e un po' sfocato per giunta, credo che nasca così quello che chiamiamo, retoricamente, quando parliamo di innamoramento o soltanto di qualcosa che crediamo tale, "amore a prima vista".
Ma quello fra bambino e cane, quello fra questi due cuccioli o questi due bambini, a seconda della prospettiva da cui guardiamo la cosa, non è niente che abbia a che fare con la parola 'amore'.
Si tratta invece del semplice (sempre che questo sia l'aggettivo più appropriato per definire una relazione che, come qualsiasi altra non può mai essere semplice) incontro fra simili, persone o animali che non si sono mai visti, ma che si conoscono da sempre o almeno dal giorno in cui cane e uomo si conobbero nelle caverne o in una prateria.
E, infine, dopo l'incontro, c'è questo sguardo verso di me, verso i miei, di occhi. Uno sguardo partito, a questo punto e per le cose dette finora, non importa più dagli occhi di chi.
Lo sguardo che mi domanda: "Hai capito, vero?".
Uno sguardo fra il massimo della commozione e il massimo della felicità, questi due sentimenti che iniziano l'uno dove finisce l'altro, quando il primo fa posto al secondo, come fa il giorno quando gioca con la notte o il sorriso, quando si confonde con le lacrime. 

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