Una delle novità dell'anno scolastico in corso è il fatto che le feste di compleanno si siano drasticamente diradate rispetto agli anni precedenti. Non esagero: in prima elementare ce n'era una ogni due, massimo tre settimane, In seconda e in terza, almeno una al mese. In quarta, da settembre fino a oggi, ce ne saranno state sì e no due.
Cosa è successo? I bambini non festeggiano più il loro compleanno? Sono finiti quei soldi, e parecchi, che prima si spendevano fra sala da affittare, animazione e catering? O è finito l'entusiasmo, o la megalomania, fino all'indebitamento, da matrimonio indiano, nel festeggiare un avvenimento in maniera tale che lasci il segno, un ricordo indelebile nelle generazione che verranno...
No, niente di tutto questo. La tendenza, adesso, è quella di festeggiare 'in modalità privata' i compleanni. Ovvero, restringendo l'invito a pochi fortunati, ai cosiddetti - immagino le proposte dei genitori ai figli attoniti - migliori amici, o a chi ti sta più simpatico, o a chi vorresti veramente che partecipasse.
Insomma, le feste di compleanno ci sono state, ma ci è capitato di sapere che ad alcune di esse non siano stati invitati i nostri figli. Così come siamo stati inclusi in liste in cui era richiesta la nostra partecipazione, ma nelle quali erano escluse altre famiglie. Ovviamente, non rimango male perché mio figlio non è invitato a una festa, ma per una inedita politica di esclusione ad opera dei genitori e soprattutto per ciò che, così facendo, insegnano ai propri bambini: ovvero, che fra i compagni di scuola c'è chi è più meritevole di altri della tua amicizia, quel bambino sì e quell'altro no, c'è chi è migliore e chi peggiore.
Tutt'altro, in definitiva, da ciò che la scuola principalmente insegna, ovvero l'educazione all'inclusione, che è l'unico sistema per accettare, anche in futuro, le differenze con gli altri. Le famiglie che conosciamo sono, in tal senso, diseducative, perché vanno, trascinando con sé i propri figli, nella direzione di un anacronistico rapporto aristocratico con il prossimo.
E quando la questione della festa di compleanno dei miei figli si è prospettata all'interno della mia, di famiglia, la risposta unanime, alla domanda superflua "chi invitare", è stata: "tutti, sia i belli che i brutti. O niente festa".
E faremo un'unica festa per due compleanni, all'aria aperta, dove magari il divertimento maggiore per i bambini sara quello di rincorrere, tutti insieme, un pallone che ruzzola su un prato.
Insomma, le feste di compleanno ci sono state, ma ci è capitato di sapere che ad alcune di esse non siano stati invitati i nostri figli. Così come siamo stati inclusi in liste in cui era richiesta la nostra partecipazione, ma nelle quali erano escluse altre famiglie. Ovviamente, non rimango male perché mio figlio non è invitato a una festa, ma per una inedita politica di esclusione ad opera dei genitori e soprattutto per ciò che, così facendo, insegnano ai propri bambini: ovvero, che fra i compagni di scuola c'è chi è più meritevole di altri della tua amicizia, quel bambino sì e quell'altro no, c'è chi è migliore e chi peggiore.
Tutt'altro, in definitiva, da ciò che la scuola principalmente insegna, ovvero l'educazione all'inclusione, che è l'unico sistema per accettare, anche in futuro, le differenze con gli altri. Le famiglie che conosciamo sono, in tal senso, diseducative, perché vanno, trascinando con sé i propri figli, nella direzione di un anacronistico rapporto aristocratico con il prossimo.
E quando la questione della festa di compleanno dei miei figli si è prospettata all'interno della mia, di famiglia, la risposta unanime, alla domanda superflua "chi invitare", è stata: "tutti, sia i belli che i brutti. O niente festa".
E faremo un'unica festa per due compleanni, all'aria aperta, dove magari il divertimento maggiore per i bambini sara quello di rincorrere, tutti insieme, un pallone che ruzzola su un prato.
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