In primo piano c'è un uomo che corre e ride. Dietro di lui, il mare e uno scoglio sul quale ci sono sei persone. Cinque sono amici delle vacanze, ritrovati ogni anno durante la villeggiatura. C'è poi un bambino, che nella foto si scorge soltanto per metà e che è voltato verso di loro: se ne vede una gamba, il costumino rosso, il braccio sinistro, una parte del viso: la bocca, il profilo del naso, i capelli lisci sulla fronte. Gli occhi però sono sfocati. Potrei benissimo essere io quel ragazzino che osserva un gruppo di persone che ridono nell'estate del 1981. Oppure potrebbe essere mio fratello.
Invece, la persona che corre e che ride è mio padre. Ha appena abbassato il costume dell'uomo in piedi sullo scoglio. E' per questo scherzo stupido e divertente che adesso - l'istante esatto nel quale la foto è stata scattata - tutti ridono. Ed è quell'adesso - questo adesso - che più d'ogni altra cosa mi fa riflettere. Il tempo che torna dal passato e che, improvvisamente, è di nuovo presente, più di trent'anni dopo!
Mi piace questa foto che qualche anno fa mi ha spedito Meri, la ragazzina seduta sullo scoglio, perché mi ricorda mio padre come effettivamente era: allegro e con una vitalità fuori dal comune. Tutte le immagini che ho di lui, da solo o con me e mio fratello sono quelle di un uomo che sa di trovarsi di fronte a una macchina fotografica. Questa fotografia, al contrario, coglie la spontaneità di un momento scherzoso e ha la stessa bellezza che avrebbe se, ad esempio, il soggetto piangesse ovvero se fosse drammatica. Coglie e rappresenta un istante, in questo caso spensierato e divertente, della vita di una persona. E' in questo senso, nella sua momentanea descrizione, che la apprezzo.
Le fotografie hanno questa forza innata: quella di riportare in vita il passato. Più della memoria, che richiama nel presente spezzoni di vita trascorsa ma li modifica, soprattutto nei dettagli, se non, a volte, addirittura nei contorni più generali, quando guardiamo un'immagine, abbiamo a che fare con l'obiettività, con il dato di fatto, anche se pure qui potremmo sbizzarrirci con quelle teorie dell'interpretazione che al centro di tutto vedono sempre e comunque soggetti che interpretano: nella fattispecie, prima di ogni altro, l'osservatore della foto, ma anche il suo autore, e poi, ovviamente, tutti i personaggi che ne fanno parte.
Da qualunque parte la si guardi, è incontestabile che nella foto compaiano sette personaggi, sei sullo scoglio, dei quali uno è rimasto con le natiche scoperte, e uno che corre e ride, verosimilmente l'autore dello scherzo. Ed è indiscutibile anche il fatto che questi personaggi siano fermi in due momenti diversi: in un istante appartenente all'estate del 1981 e oggi, nel momento stesso in cui guardiamo la foto.
Se esistesse, non avrei difficoltà a identificare la macchina del tempo con una macchina fotografica: è grazie a questo strumento, infatti, che è possibile una coesistenza di tempi differenti come il passato e il presente. O con la nostalgia, il sentimento che prova chiunque di noi desideri un ritorno.
Invece, la persona che corre e che ride è mio padre. Ha appena abbassato il costume dell'uomo in piedi sullo scoglio. E' per questo scherzo stupido e divertente che adesso - l'istante esatto nel quale la foto è stata scattata - tutti ridono. Ed è quell'adesso - questo adesso - che più d'ogni altra cosa mi fa riflettere. Il tempo che torna dal passato e che, improvvisamente, è di nuovo presente, più di trent'anni dopo!
Mi piace questa foto che qualche anno fa mi ha spedito Meri, la ragazzina seduta sullo scoglio, perché mi ricorda mio padre come effettivamente era: allegro e con una vitalità fuori dal comune. Tutte le immagini che ho di lui, da solo o con me e mio fratello sono quelle di un uomo che sa di trovarsi di fronte a una macchina fotografica. Questa fotografia, al contrario, coglie la spontaneità di un momento scherzoso e ha la stessa bellezza che avrebbe se, ad esempio, il soggetto piangesse ovvero se fosse drammatica. Coglie e rappresenta un istante, in questo caso spensierato e divertente, della vita di una persona. E' in questo senso, nella sua momentanea descrizione, che la apprezzo.
Le fotografie hanno questa forza innata: quella di riportare in vita il passato. Più della memoria, che richiama nel presente spezzoni di vita trascorsa ma li modifica, soprattutto nei dettagli, se non, a volte, addirittura nei contorni più generali, quando guardiamo un'immagine, abbiamo a che fare con l'obiettività, con il dato di fatto, anche se pure qui potremmo sbizzarrirci con quelle teorie dell'interpretazione che al centro di tutto vedono sempre e comunque soggetti che interpretano: nella fattispecie, prima di ogni altro, l'osservatore della foto, ma anche il suo autore, e poi, ovviamente, tutti i personaggi che ne fanno parte.
Da qualunque parte la si guardi, è incontestabile che nella foto compaiano sette personaggi, sei sullo scoglio, dei quali uno è rimasto con le natiche scoperte, e uno che corre e ride, verosimilmente l'autore dello scherzo. Ed è indiscutibile anche il fatto che questi personaggi siano fermi in due momenti diversi: in un istante appartenente all'estate del 1981 e oggi, nel momento stesso in cui guardiamo la foto.
Se esistesse, non avrei difficoltà a identificare la macchina del tempo con una macchina fotografica: è grazie a questo strumento, infatti, che è possibile una coesistenza di tempi differenti come il passato e il presente. O con la nostalgia, il sentimento che prova chiunque di noi desideri un ritorno.
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