Passa ai contenuti principali

Angoscia


I miei figli e io siamo vicini, in questi giorni di lavoro a casa per me e di scuole chiuse per loro. Il più piccolo ha la febbre. Una delle prime cose che mi ha chiesto è se potesse aver contratto il coronavirus. Ne sente anche lui parlare in televisione. Gli ho detto di no, ovviamente, gli ho spiegato che ha soltanto l'influenza. 
Possa piacere o no, per me la vera notizia adesso è l'angoscia, non ne ho altre. Questa pandemia non ha precedenti nella nostra generazione che fino a oggi ha vissuto, anche se non proprio alla grande, di alcune certezze e di una relativa fiducia nel domani. Ma l'angoscia no, questa non l'ha mai provata. Ecco, di fronte a ciò a cui stiamo assistendo, al cospetto delle notizie che parlano di crescita esponenziale delle infezioni, oggi non me la sento proprio di fare previsioni ottimistiche per il futuro. 
E quando provo a rasserenare i miei figli, so di tradirli non dicendo loro quale sia la mia vera paura. E cioè che prima o poi ci ammaleremo tutti, e che nessuno è immune davvero da questa tragedia, e che dovremo lottare e soffrire. Che con molta probabilità dovremo ricominciare daccapo. Da una specie di anno zero dopo la catastrofe. So bene che nella maggior parte dei casi guariremo, ma quando un padre pensa all'eventualità di una sciagura, non si preoccupa tanto per sé, ma per i suoi figli, che vorrebbe vedere sempre in salute e felici. 
Sono angosciato perché non possiamo fare altro che aspettare, al momento. E nel caso dovessimo ammalarci, cercare di curarci. Tento di essere positivo e di convincermi a non viverla come una condanna. Mi viene in mente Revenant. C'è una frase che ricorre nel film e la pronuncia il protagonista ridotto in fin di vita: "Finché avrai ancora un respiro, combatti. Finché avrai ancora un solo respiro, continua a respirare". Mi sono immaginato con la polmonite causata dal coronavirus e che non lascia respirare e ho pensato che dovrò invece cercare di farlo, una volta di più, ogni volta che avrò anche soltanto un po' di aria nei polmoni. 
"Dato che si tratta di un virus, la cura e negli anticorpi che noi stessi produciamo", ho spiegato oggi al figlio grande durante una breve passeggiata sotto casa assieme al nostro cane. La città è svuotata, non c'è anima viva in giro, le vie deserte, vuote di uomini e di relazioni. E se per caso incontri qualcuno, si cambia marciapiede, si evita di incrociarsi e perfino di guardarsi. Cammini come se fosse normale fare così, facendo finta di sapere dove stai andando, come se davvero avessi una meta. 
"Ma per armarsi contro questo virus occorre tempo - ho detto ancora a mio figlio -. Si tratta solo di resistere, respirando, fino al momento in cui inizi a guarire". Non c'è altro modo al momento, se non quello di aspettare. Aspettare per vedere se ci ammaliamo e aspettare prima di essere pronti a guarire. Possiamo soltanto respirare, per combattere l'angoscia, prima, e per guarire, poi. 
La cosa che non gli ho detto è che saremo da soli a doverlo fare, nessuno ci aiuterà mai tanto quanto riusciremo a farlo noi stessi. Saremo soli, come lo siamo adesso, su queste strade dove non si incontra più nessuno.

Commenti

Post popolari in questo blog

La partita sul terrazzo

Il muretto sarà alto un metro e mezzo al massimo. È per questo che il pallone con cui giochiamo a calcio sul terrazzo è sgonfio. Perché non rimbalzi troppo, con il rischio che vada a finire di sotto e colpisca qualcuno di passaggio. È pur vero che di persone ne passano poche sotto casa in questi giorni e comunque è capitato, alcune volte, che la palla finisse in strada. È andata sempre bene, per fortuna. Il pallone che usiamo per giocare sul terrazzo non lo abbiamo sgonfiato apposta. È bucato. Lo aveva morso il nostro cane Spot a Villa Borghese, qualche tempo prima che ci chiudessero tutti in casa. Non so perché non lo avessimo buttato via subito, quel giorno. Adesso in ogni caso ci serve, per il motivo che ho detto.  Il terrazzo non lo abbiamo mai frequentato prima del coronavirus, i miei figli non c'erano mai stati. È uno di quei posti che appartengono a tutti i condòmini e che, proprio per questo motivo, non sono di nessuno, perché nessuno ha bisogno di andarci e tutti vog

Coronavirus: il lockdown e le ripercussioni sui figli minori dei genitori separati

Intervista all’avvocato Antonella Laganella, giudice onorario Corte d’Appello di Campobasso, sezione minori Riaprire o lasciare tutto ancora chiuso, ripartire insieme oppure a due o a tre velocità: mentre si discute sulle modalità di allentamento del lockdown e su come gestire la Fase-2 nell’ottica di un ritorno graduale alla normalità dopo l’epidemia, diventano sempre più problematici, a causa delle limitazioni agli spostamenti per contenere l’epidemia da coronavirus, i rapporti fra figli minori e i genitori non collocatari all’interno delle famiglie con coniugi separati. Ne parla all‘Adnkronos l’avvocato Antonella Laganella, giudice onorario della Corte d’Appello di Campobasso, sezione minori, che sottolinea quanto le misure urgenti adottate dal Governo abbiano inciso sui rapporti fra figli e genitori non collocatari. "Le conflittualità tra ex coniugi si sono intensificate - spiega l’avvocato Laganella - di pari passo con la crescente incertezza sull’interpretazione d

Quando siamo costretti ad ascoltare un racconto sbagliato

Una delle peggiori forme di violenza che può capitarci di subire è il racconto sbagliato di ciò che ci accade. Trovo delittuoso - non ho altri termini per definire qualsiasi tentativo di mistificazione - il voler far passare una cosa per un'altra, appositamente, come se fossi tu a non capire e a non renderti conto di ciò che hai intorno: essere trattato, in una parola, come uno scemo. Sono incapace di tollerare che si scambi la verità con la finzione, non riesco a concepire la possibilità di intercambiabilità dell'una con l'altra, con la prima che diventi falsità e la seconda assurga a Verbo e a voce di Dio o, più semplicemente, a resoconto puntuale. Eppure, sono molti a credere alle chiacchiere, a farsi soggiogare più dal suono delle parole, che ad ascoltarle criticamente, cercando di coglierne il significato. La voce, spesso, ha più peso della sostanza che una frase esprime: siamo più ascoltatori di suoni che di significati. E chi parla, spesso, si sente e si pone su