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Una mia certa idea di dio


Non sono né credente, né tantomeno un teologo. Ma una certa idea di dio in questi giorni me la sono fatta. Perfino io. 
Dio è qualcuno o qualcosa che può decidere al nostro posto, della nostra vita, del nostro destino, senza che noi possiamo opporci e riuscire a contrastare questa volontà, perlomeno inizialmente. Il dio che ho in mente io, infatti, non è del tutto invincibile, né immortale. 
E l'uomo ha bisogno soltanto di tempo perché trovi la strada giusta: una cura, una risposta, una soluzione.
Dio è il virus che ti uccide, ma è anche il medico che ti cura. È l'assassino che dispone della tua vita, ma è anche il poliziotto che sventa l'attentato. È il magistrato che decide il tuo destino, ma è pure il giudice che ribalta la sentenza. È il capo dell'Esecutivo, che decide come governarti, ma è pure l'opposizione parlamentare, che propone un altro indirizzo.
Dio è chi può toglierti la libertà e chi può restituirtela. E siamo noi, quando, anche senza una ragione, riusciamo a farci una ragione di ciò che ci accade. 
Dio siamo noi quando capiamo e lo siamo perfino quando preghiamo: lo dice uno che non capisce un granché di queste cose e che, se dovesse incominciare a pregare, non saprebbe nemmeno da dove iniziare. 
Il mio dio è una divinità mortale, temporale, per nulla sola al comando e piena di nemici. La mia idea di dio è democratica, sempre pronta a essere messa in discussione, la prima disposta a essere confutata.
Il mio dio ragiona, dialoga, si scontra, s'imbatte in problemi del tutto nuovi e cerca di risolverli, a volte li crea lui stesso e li risolve qualche altro dio. Ha tanto ragione quanto torto. 
Per me dio non è nient'altro che l'uomo, con le sue capacità e tutti i suoi difetti, e mi piace dirlo soprattutto adesso che è Pasqua, ora che si celebra la morte e la rinascita.
Accanto al mio dio, però, non devo dimenticare tutti gli dei minori da cui siamo circondati, quelli minuscoli, che approfittano del loro fazzoletto di terra per fare i padroni e che alla prima opportunità, per nulla imbarazzati, fanno del dispotismo uno stile di vita. Si sentono eterni, in questi frangenti, e onnipotenti: sono i poveri signori del mondo.
Ma restano pur sempre dei microbi, perché non immaginano che il loro è un potere transitorio e, per quanto grande possa sembrare la loro platea, sempre circoscritto a una minoranza di individui.

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