Le formiche formano due file parallele, lungo il tronco del salice vicino alla spiaggia. Quella di sinistra si dirige verso la chioma, l'altra verso la terra. Le osservo come potrebbe fare un bambino rapito da una cantilena, attratto dalla continuità ininterrotta dell'andirivieni: nel loro percorso formano un cerchio oblungo e stupidamente mi chiedo che senso abbia salire, per poi scendere e dopo ritornare, ancora una volta, su in cima.
Vanno e vengono, le formiche, senza di fatto spostarsi dal loro albero. Sempre lì stanno, anche se in movimento e pure se si adoperano e si affannano tutto il giorno. Lo sappiamo che questi insetti sono i campioni della fatica e della laboriosità. Siamo stati noi uomini a definirli così, cercando un modello di sacrificio a cui ispirarci, un esempio da ricordare, non se lo sono certo detti da sé che loro lavorano mentre le cicale cantano, tanto per autocelebrarsi e per mettere in cattiva luce un altro insetto che non ha mai fatto loro del male. Ciò che non ci siamo mai chiesti, invece, è il senso del rispettivo affannarsi, che, se indaghi e vai a tirare le somme, è identico.
Le formiche sono i vagoni di un treno che viaggia su binari infiniti, un convoglio del tutto analogo a quello della storia dell'uomo, non diverso dalle vicende di ciascuno di noi. Sullo stesso treno stanno anche le cicale: friniscono fino a consumarsi, emettendo un suono che non è altro che un continuo, intenso richiamo sessuale. Non c'è nessuna differenza fra chi passa la vita a mettere da parte molliche di pane e fili di paglia e chi, per amore, si logora un'estate intera.
Identica cosa è il mare, che è poco più distante dal mio sguardo: le onde si avvicendano, si alternano le une alle altre, ce n'è una più lunga, seguita, subito dopo, da due, tre più alte, che fanno un fracasso maggiore rompendosi sugli scogli. L'acqua si ritira e torna la calma. Dura pochi istanti, poi tutto ricomincia, come prima della risacca: ancora un'onda, due, tre. Di nuovo il rumore sordo dell'acqua che si infrange sulle rocce.
Ma il mare sempre quello è, la spiaggia la stessa di ieri, anche se di questo a volte possiamo dimenticarci, abbagliati dal miraggio di una fuga in avanti, dalla possibilità di un'evoluzione e di cambiamento personale, un'idea che spesso torna ma che a volte può durare per una vita intera, senza mai trovare forma.
E invece - l'ho sempre saputo - tutto cambia per restare ciò che è sempre stato. Nasciamo e moriamo nello stesso letto, anche se, nel corso della nostra esistenza, possiamo sostituire materassi, lenzuola e perfino case, innumerevoli volte. Andiamo e torniamo, ma quanto ci siamo mossi davvero da noi stessi? Quanto ci siamo veramente allontanati da ciò che siamo? Il nostro destino coincide con la nostra natura, da qui non si scappa.
Affermarci quali persone autentiche, da qualsiasi punto di vista lo si intenda, sia attraverso le nostre idee che, perfino, semplicemente respirando o solamente con la nostra presenza fisica in un determinato spazio, non significa altro che essere noi stessi. Tale è il tentativo che compiamo lungo tutto l'arco della nostra vita. Non essere da un'altra parte, come pensa chi vive di illusioni. Ci differenziamo per replicare un modello. Non facciamo che venire al mondo per essere noi e per essere riconosciuti nella nostra breve unicità. Soltanto questa aspirazione ci distingue dalle formiche o dalle onde del mare. Per il resto, siamo la stessa, identica fluidità informe delle une e dell'altro.
Una riflessione autentica, appalesata da metafore ed analogie che ci aiutano ad interrogarci e a metterci a nudo nella nostra più intima identità. Cristiano Camera è maestro in questo. Spinge il lettore a svegliarsi, a prendere coscienza dei meccanismi che governano la nostra mente e le nostre azioni, per giugere al vero obiettivo: sentire il sapore straordinario del nostro animo.
RispondiEliminaAntonella Laganella
Le formiche non risulterebbero cosi operose se non ci fossero le cicale ,la loro diversità è per noi essere umani ispirazione , la diversità degli essere umani ciò ci da scelta, ci permettere di Essere, e come le onde del mare implacabili , impetuose, lente schiumose che riescono a modificare a trasformare ogni cosa noi umani non siamo mai veramente uguali . quanta forza in tutto , ma noi ci evolviamo non finisce , continuano i figli , coloro che vengono da noi, ma non sono noi ,tenteranno di replicare un modello di vita in maniera unica , nel bene e nel male e alla fine vivranno cresceranno diversi senza replicare noi . siamo tutti UNICI , non veramente replicabili.
RispondiEliminaCerto che c'è la scelta, la diversità e l'unicità. Certo che esiste lo spazio individuale e la crescita. Certo che individualmente non siamo replicabili e che siamo unici e irripetibili. Ma singolarmente non siamo che l'anello di una catena che teniamo in vita grazie al nostro contributo. E' questo il modello a cui mi riferisco: alla catena, non all'anello; al mare, non alle onde; alla fila di formiche, non alla formica in sé; alla natura, non ai singoli insetti. Insomma, possiamo spingerci lontano, dove vogliamo, e trasformare tutto, ma sempre alla 'catena' stiamo e torniamo. Non si tratta di essere 'negativi', la mia è solo una pura presa di coscienza. Grazie per il commento.
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