Per sopravvivere, l'uomo non ha bisogno soltanto di mangiare, ma anche di sentirsi a posto con la propria coscienza. Per farlo, ha inventato un sistema molto astuto e che mette in atto non appena qualcosa lo fa sentire colpevole: si prende in giro da solo, si giustifica, cerca una spiegazione valida per convincersi della propria buona fede, fa leva sulle proprie ragioni, pone se stesso davanti a tutto, mette innanzi le sue priorità: in definitiva, si autoassolve.
Molti anni fa - non voglio entrare nei particolari di una vicenda piuttosto triste - una persona rubò dei miei beni. Lo venni a sapere. Glie ne chiesi conto. Mi rispose che non si sentiva una ladra, che era un proprio diritto prendere qualcosa di mio dopo avermi dato - a sua volta, pensava - qualcosa di suo. Si giustificava dicendo di considerare uno scambio, una compensazione la propria decisione di prendere di nascosto all'altro senza avvertire e né spiegare, in maniera arbitraria, unilaterale, non condivisa. Avrebbe dovuto dirmi: "Ti ho dato, adesso mi restituisci", tutto qui. Invece, preferì agire nell'ombra, rubare, piuttosto che rivendicare con ragione qualcosa di suo, eventualmente ottenendola attraverso un accordo. Ovviamente, il rischio grosso era che, parlandone, avesse potuto incontrare delle difficoltà, anzitutto un mio differente punto di vista. Meglio dunque evitare il confronto, "snellire la pratica" e agire di nascosto, "meno complicazioni, tanto nemmeno se ne accorge"...
Recentemente è successa una cosa simile - e pure qui non entro nei dettagli, anche questa storia è abbastanza squallida, perciò sarò didascalico -. Ha a che fare con la verità o, meglio, con il non-racconto della verità. Questa persona, dalla quale mi sono sentito tradito e che ho accusato di disonestà, mettendola di fronte a fatti e parole, circostanze nelle quali spesso gli uni non corrispondevano alle altre e, in ogni caso, il loro rapporto mancava di coerenza, questa persona dal grande senso pratico per tutta risposta mi ha detto: "Sono sempre stata sincera, sia con me stessa che con te".
Il nulla di una frase vuota di contenuti, una risposta data non a me, ma a se stessa, la sola che ne può intendere i possibili riferimenti e riceverne soddisfazione. Una dichiarazione universale e un'assoluzione. Uno slogan e il fascicolo è chiuso e archiviato. Amen.
Non mi capacito del fatto che, per la maggior parte delle persone, uno slogan sia appagante per la propria coscienza, che venga inteso in quanto risposta esaustiva. Certo, dopo tempi dominati dalla pubblicità dell'industria, adesso siamo in quelli dei social, nei quali ciascuno pubblicizza e vende se stesso come può, poche parole a effetto, associate a una propria immagine vincente, bastano ad avere una sequela di follower e di pollici alzati. Ma, appunto, stiamo parlando non di persone, ma di come appaiono ovvero di quanto corrispondono all'immaginario dei loro supporter. Come si vede, anche qui uno slogan ha successo se il suo destinatario e sulla stessa lunghezza d'onda di chi lo emette. Se parla il suo stesso linguaggio.
Io invece no, non sono tagliato per le frasi a effetto. A volte nemmeno le capisco, ho bisogno costantemente di domandare spiegazioni, di chiedere, spesso e volentieri passando anche per stupido, "cosa intendi?". Sarò una persona d'altri tempi, che non vuole apparire diversamente da ciò che è, ma, ecco, una cosa che non riesco proprio a fare è prendere in giro me stesso. Ho necessità di approfondire. Senza analisi, senza spirito critico, come si può comprendere (verbo che, guarda caso, non significa altro che "prendere insieme", considerando tutti i particolari, soppesandoli e bilanciandoli, fino a giungere a una sintesi)?
Invece, è davvero facile e alla portata di molti urlare slogan ed è per questo che hanno successo: vogliono dire tutto e nulla. Soprattutto, chi li pronuncia non si deve impegnare più di tanto né con la grammatica e né con la fantasia, lasciando eventualmente il peso della loro interpretazione a chi li riceve: "Io dico questo e la mia coscienza è a posto. Adesso vedi tu di capire cosa intendo"...
C'e'una linea labile tra libertà di espressione, la quale dovrebbe essere effettivamente messa a disposizione dell'altro per poter esistere, e libertà di essere, quest'ultima sempre più vincolata a cio' che l'altro si desideri pensi di noi, manovra che non potrà mai portare all' incontro con il 'diverso da me', quindi al riconoscimento e accettazione della contingenza anche fallibile della vita. Slogan del capitale che fa' leva sull'autocelebrazione e sulla conservazione di se' stessi, movimento mortifero, limite d'acciaio per un'apertura necessaria alla diversità dell'altro e al riconoscimento della stessa per poter esistere con la propria unicità.
RispondiEliminaL'esprimersi in sé, non tanto la libertà d'espressione, dovrebbe poter incontrare il proprio destinatario, ma prima di tutto essere esternato, esplicitato, non racchiuso in uno slogan che non spiega nulla. Quanto alla libertà di essere, come dici tu, "sempre più vincolata a ciò che l'altro si desideri pensi di noi", perde, proprio a causa di questo suo stesso vincolo, ogni sua pretesa di libertà. L'incontro con il "diverso da me" qui è compromesso fin dal fatto che chi vuole "incontrare" è prima di tutto diverso da se stesso.
EliminaCiò detto, l'argomento del mio post non è la possibilità o meno di incontro e di comprensione fra due persone che dialogano, e nemmeno l'accettazione della diversità, temi che - è vero - in qualche modo sfioro.
I punti che evidenzio sono invece quelli dell'autoassoluzione e della mancanza di contenuti nelle frasi tipiche degli slogan.
Tutto qui, e comunque grazie per i tuoi spunti di riflessione.